l'intervista
Il sondaggista Weber a Ronchi, «ecco perché la gente non vota»

Il sondaggista e presidente dell'Istituto Ixè ospite venerdì sera, «c’è un’inerzia e siamo cittadini diversi dal passato».
Le ultime elezioni regionali e le parallele comunali in Friuli Venezia Giulia hanno mostrato un dato chiaro: il partito del “non-voto” è ormai la forza sociale più pesante. Un quadro che non è solo locale, né tantomeno italiano ma riguarda tutta Europa. Roberto Weber, sondaggista triestino di lungo corso e fondatore dell'Istituto Ixè, non nasconde la preoccupazione commentando la situazione e sarà lui ospite venerdì alle 18.30 dell’associazione Libertà territorio solidarietà, al Consorzio di bonifica di Ronchi in via Duca d'Aosta.
“I dati sono molteplici - rileva - e sono di natura nazionale, europea e locale. Il referendum, ad esempio, non funziona più. Questo lascia intuire che crisi non è solo nostra ma vale per tutti”. Un male che ha morso la democrazia, tanto ché non si può parlare più solo di disaffezione, come in quella fase “nata dalla crisi dei partiti - ricorda - e perché gli schieramenti hanno iniziato a offrire soluzioni analoghe l’uni agli altri. La cosa è più grave e l’Italia è all’avanguardia anche in questo, mostrando fenomeni in anticipo”.
Nella Penisola sono nate esperienze politiche estreme dal fascismo al più forte partito comunista d’Europa, passando per le Brigate rosse e i movimenti territoriali come la Lega, nonché i partiti personali. Ci sono stati poi due tipi di populismo e un ampio uso dei governi tecnocratici, da Monti a Draghi. “Abbiamo esperito tutte le formule che gli analisti propongono per risolvere i problemi del governare - chiarisce Weber - Oggi il deficit di partecipazione è importante. A Udine, avevo già visto che De Toni poteva giocarsela ma ha votato solo il 46%”.
Il riferimento è al ballottaggio dell’ultimo fine settimana a Udine, che ha visto ulteriormente un calo la partecipazione dopo un primo turno già in condizioni critiche. Il paragone che l’esperto fa è con tutte le altre realtà del Vecchio continente chiamate recentemente alle urne, come Finlandia e Belgio, mentre all’orizzonte ci sono le elezioni per il Parlamento europee: “Mi attendo un’ulteriore flessione, in alcuni Paesi alle ultime ha votato solo il 18/20% popolazione. È un’istituzione importante ma con scarsa legittimazione dal basso”.
Il perché di tutto ciò è tanto semplice quanto avvilente: “La gente si accorge che il suo voto non conta, non è vero che uno vale uno. A sinistra gli studiosi convergono sul fatto che le oligarchie economiche decidano tutto, altri invece non si lamentano proprio come negli Usa. Siamo in una situazione per cui il bene più prezioso che possiamo più ‘vendere’ il nostro bene più prezioso, ossia le democrazie rispetto ai paesi autoritari”. Weber, che interverrà all’assemblea del sodalizio, non usa mezzi termini dopo quasi 40 anni di carriera.
“Quando ho iniziato, le donne votavano di meno e anziani non andavano proprio ma l’affluenza era all’85%. Fino alle elezioni del 2006 c’erano 38 milioni di elettori alle urne. Poco dopo c’è stata la crisi finanziaria da oltreoceano da cui non ci siamo più tirati su. C’è stata l’accensione dei 5 stelle ma è durata poco, trattandosi comunque di una quota di elettorato che si è spostata. Nemmeno Draghi è stata la soluzione. Siamo nei guai ma non si può uscirne dicendo che si può andare avanti così. Accadrà qualcos’altro”.
Inevitabilmente fa riflettere il fatto che la Lombardia, una delle regioni più ricche d’Europa, ha avuto un’astensione del 60%. “Non è più questione di oligarchie: i voti validi tra Lombardia e Lazio alle ultime regionali sono stati il 37,8%. Come ricominciare? Con il sorteggio magari o pensando che la politica è professione. Ora sono tutti bravi a vendersi ma poi non sanno cosa fare”. Weber comunque non giustifica i singoli elettori: “C’è indubbiamente un’inerzia, siamo cittadini diversi da come eravamo negli Cinquanta: una volta c’erano gli schieramenti”.
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