GLI INTERVENTI
Magris a Gorizia dialoga con Sokurov, «per la prima volta generazioni di figli stanno peggio dei padri»

La Milanesiana di Elisabetta Sgarbi, inserita nel cartellone di Go! 2025, ha riflettuto sull’intelligenza dei confini. «I valori umanistici devono prevalere».
«In principio era il Verbo», recita il Vangelo secondo Giovanni. E quasi a raccogliere la sacralità divina del Logos si spinge il regista Aleksandr Sokurov nel riflettere sul senso dell’elegia. La 38esima giornata della Milanesiana organizzata da Elisabetta Sgarbi si è svolta nella serata di ieri, 16 luglio, al Teatro Verdi di Gorizia. «Con la Milanesiana – spiega Sgarbi – compiamo un lungo viaggio in Italia». Diciannove le città toccate in questa 26esima edizione del festival «che unisce per far dialogare le arti», il cui tema di quest’anno lancia l’incontro “L’intelligenza dei confini” su progetto del Gect Go e del Comune di Gorizia e con il sostegno di Civibank.
Sulle note della sigla realizzata da Luca Volpatti che accompagnano il logo del festival, una rosa dipinta da Battiato, Sgarbi non nasconde il suo entusiasmo nel tornare a Gorizia, «città che mi ha adottato con il premio Amidei». Presenti in sala anche la senatrice Tatjana Rojc e il direttore di Transmedia Giuseppe Longo, al quale sono andati i suoi ringraziamenti. «Elisabetta è un vulcano di idee – rimarca il primo cittadino Rodolfo Ziberna – e a me piace coniugare il termine “Intelligenza” con quello di “confine”, testimone di tragedie ma anche di muri abbattuti. Che è quello che hanno fatto Gorizia e Nova Gorica attraverso la reciproca conoscenza, lo scoprire la ricchezza dell’altro crescendo insieme».
A portare i saluti di Gect e Zavod è poi Romina Kocina, che evidenzia come «l’intelligenza dei confini porti a ragionare sul confine non fisico» anche grazie alla caratura degli intellettuali presenti. «La Milanesiana sostenne la candidatura transfrontaliera già nel 2019 – ricorda Sgarbi – proponendo una capitale capace di unire, di costruire ponti».
E chi meglio di Claudio Magris e Aleksandr Sokurov ha saputo unire le sponde e aprire varchi nei cuori? Quello dello scrittore triestino non è stato solo un viaggio in “un altro mare” e nei “microcosmi” che raccontano la nostra regione da Grado alla Valcellina, ma anche un percorso interiore nell’aldilà con il testo teatrale “Lei dunque capirà”, che calò il mito di Orfeo ed Euridice nel dolore per la perdita della moglie Marisa Madieri, scomparsa quasi trent’anni fa per un cancro.
«Mi vengono in mente tante cose – racconta Magris dal leggio – gli anni lontani in cui si sapeva che questa città sarebbe diventata una sola. Ricordo i grandi anni degli incontri mitteleuropei che si tenevano a Gorizia: oggi per me è toccante, essere qui. Si capisce che affrontando queste tematiche ci occupiamo di quelle cose per cui la vita acquista dignità maggiore». Classe 1939 e non lontano dai novant’anni, l’autore di “L’infinito viaggiare” avverte una certa distanza fra passato e presente. «Se per secoli il mondo non è mutato o lo è solo impercettibilmente, ora si ha quasi l’impressione di essere un’altra specie».
Il dramma è lo scollamento fra una generazione e l’altra e la deriva che incupisce i giovani, in preda all’ansia e al disagio. «Per la prima volta – sottolinea – ci troviamo innanzi a generazioni di figli che stanno peggio dei loro padri». «Cerco di difendermi – prosegue – sia dalle condanne apocalittiche sia dalle smanie d’integrazione a ogni costo». E ricordando gli anni d’insegnamento negli Stati Uniti ha ribadito fra gli applausi del pubblico come «non si possono leggere le vite come si legge la storia di un regno lontano».
«Apparentemente – interviene Sokurov in dialogo con la critica Aliona Shumakova - ci è consentito di pensare ad argomenti di alta spiritualità quando ci ritroviamo in solitudine, non quando siamo assieme. E così il teatro prima e il cinema poi hanno creato la cultura del nuovo e del vecchio mondo riunendo tante persone in una sala come questa sera. Noi saremo diversi, una volta usciti dal teatro. Non necessariamente migliori, ma diversi». Due le proiezioni offerte al pubblico dal regista russo: la versione restaurata del cortometraggio “Il sacrificio serale” (1988) e il mediometraggio “Elegia di un viaggio” (2001).
«In principio fu la parola – aggiunge – che ovunque e sempre rimane il principio. Quando insegnavo regia continuavo a ripetere ai miei studenti “Scrivete, scrivete e scrivete, perché anche se volete diventare registi dovete saper scrivere”». Di qui l’importanza dell’elegia, che secondo il maestro deriva dalla letteratura e al contempo dalla musica. «Per un essere umano è importante ricordare il proprio passato con gratitudine e calore. E il cinema sovrasta la violenza e l’aggressività. Quando in passato partecipavo ai festival restavo sempre scioccato da quanta violenza fosse accettata dallo spettatore. Quindi ho voluto contrapporre a questo cinema violento qualcosa di caro. Nel nostro mondo cristiano fatichiamo a ricordare le cose buone, in quanto l’educazione cristiana è intrisa di sensi di colpa, di tristezza e di altri complessi. Forse è per questo motivo che l’elegia difficilmente attecchisce nel cinema contemporaneo. Alla sua base vi è sempre la melodia, e mi stupisce che in Italia nessuno pensi di dedicare un’elegia a Giuseppe Verdi».
Prossima l’uscita del suo volume “L’essere umano ha bisogno di un essere umano”, spunto per riflettere sull’importanza del dialogo. «Il padre insegna come si dialoga, la madre il perché del dialogo. Sta a voi decidere cos’è più importante. Personalmente, ritengo che sia più significativo comprendere il motivo per il quale si dialoga, grazie alla madre». Un ruolo fondamentale che il regista approfondisce nel celebre “Madre e figlio” (1997), in cui l’amore riverbera nella cura della donna che sta per morire. «Nella vita di qualcuno – precisa – vi è sempre un momento drammatico: è l’adolescenza. Se la madre non ha trasmesso ai figli l’importanza del dialogo, la loro tristezza si acuirà in questo periodo di passaggio. È Goethe a ricordarci che “un uomo infelice è pericoloso”».
Secondo il regista il male s’annida nell’assenza di dialogo fra generazioni, ma a salvare l’umanità saranno i princìpi a suo fondamento. «Le generazioni più vecchie – così Sokurov – non ascoltano quelle nuove e questo male incombe come una nube per secoli. Finché esiste la civiltà umana il senso rimarrà lo stesso. I valori umanistici devono prevalere, in quanto sono il primo tesoro della nostra civiltà europea e cristiana». Prima della proiezione del mediometraggio è stata consegnata una rosa agli ospiti, nel segno della Milanesiana. «Sokurov – chiosa Sgarbi – sembra trascinare la Russia verso l’Europa. Oggi non abbiamo solo celebrato la capitale europea della cultura, ma con i due ospiti l’Europa stessa, e spero che il continente faccia tesoro delle loro opere».
Foto di Rossana D'Ambrosio
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