Lottò per gli ultimi, un santo tra gli uomini nella Contea dell'Ottocento

Lottò per gli ultimi, un santo tra gli uomini nella Contea dell'Ottocento

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Lottò per gli ultimi, un santo tra gli uomini nella Contea dell'Ottocento

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 15 Mag 2021
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Natio di Tapogliano, Antonio Marcuzzi fu una figura di spicco nel Goriziano dell'epoca. Il suo impegno verso i più deboli.

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I conti con le epidemie si sono sempre fatti, non se ne sapeva l’origine. Cure non c’erano (e in parte non ci sono). Ci si rivolgeva Insù: la Madonna, il primo dei santi, e poi Sebastiano, dalle frecce sul corpo, Fabiano Papa. Sant’Antonio Abate provvedeva a uomini e animali, poi tanti, fino a San Rocco, dal basso Medioevo. Ha messo d’accordo uomini e animali: si è ammalato di peste; un cane provvedeva al rancio quotidiano. Gli portava un pane: sempre raffigurato col pane in bocca, il cane fedele. La peste scomparve dall’Europa, non dal mondo. Venne il colera, dal Golfo del Bengala, i primi dell’Ottocento a Napoli. Conoscenze zero, stragi tremende, voti e pellegrinaggi: da noi Madonna di Barbana protagonista. I Santi intercedevano, avvocati del popolo, ma era (ed è) Cristo a salvare.

Plebi sconvolte pregavano Dio che cessasse il flagello. San Rocco riebbe notorietà nel terribile colera del 1855, riarruolato a patrono del popolo indifeso, per presentare le suppliche a Dio. E gli uomini? Preghiere particolari, voti, promesse, pellegrinaggi... Le provavano tutte, con fede disperata. Il popolo aveva dei modelli nel quotidiano. Prendiamone uno, non unico, ma esemplare, uno da pregare. Non mostrava le caratteristiche -distorte- che dei Santi si hanno: pallidi, emaciati, dal collo torto. Si chiamava Antonio Marcuzzi: non fra i canonizzati, Santo sicuro è, da pregare, con fiducia, senza tema di sbagliare. Nasce a Tapogliano, Contea di Gorizia (1805), nella famiglia del fabbro, venuta da zona anfibia fra Sloveni e Friulani. Capacità tante, mezzi pochi; il Governo lo sostiene negli studi al sacerdozio.

Battesimo pastorale a Joannis, da vicario. Si distingue nel colera del 1836: dissero di lui che “parecchi giorni, e parecchie notti prestò continua assistenza ai poveri colerosi senza nemmeno coricarsi spogliato un momento solo con ammirabile annegazione di se stesso”. Così, quand’è il momento, all’unisono, quelli di Joannis lo propongono a decano e ispettore scolastico del distretto di Visco (Vischesi d’accordo), quale “Pastore di anime, fatto secondo il Cuore di Dio”. Argomentano che solo lui avrebbe garantito pace fra le due comunità, autorevolezza amministrativa, cultura, preparazione in ambito scolastico, rapporti con l’apparato statale, data la sua conoscenza del tedesco. Decano fu, in un momento topico della evoluzione sociale e delle evenienze storiche di metà Ottocento.

Si concretizzava, infatti, la fondazione delle scuole di base (la cui riforma datava, in Austria, dal 1774); si avvertivano brividi dei moti risorgimentali. Marcuzzi non agiva d’impulso, si districa in montagne di circolari, affrontando i problemi in maniera riflessiva (le sue lettere avevano sempre la minuta). Nel 1843 fonda la scuola popolare per Visco, San Vito al Torre, Nogaredo, Joannis. Equanime con poveri e ricchi: si propone di promuovere i primi, acciocché i potenti non facessero ciò che volevano del popolo tenuto nell’ignoranza; loda i secondi quando promuovono la scuola. Sono affioramenti di una mentalità prepolitica che anticipa l’impegno del movimento cattolico a fine del secolo. Fedele alla sua patria, l’Austria, guida la ripresa della comunità dopo i fatti del 1848, con la battaglia di Visco (18 aprile) per la quale arsero i 4/5 del paese.

Dopo, volle la ripresa della scuola in tutto il distretto, battendo anche sulla ripresa della scuola femminile, sull’apprendimento del tedesco e di nozioni pratiche in agricoltura. Si propone di creare un orto botanico ad Aiello, chiede ai ricchi di donare riviste di agricoltura alle scuole. Impegna la sorella Maddalena a tenere una sorta di asilo per i fanciulli. Si diceva, non unico sacerdote ad attirarsi la benevolenza del popolo (per quello che fece il parroco Dell’Angela durante l’incendio di Jalmicco nel 1848, gli Jalmicchesi cancellarono la bestemmia dal paese); sapeva essere anche un costruttore e realizzò la bella chiesa del nuovo cimitero a Visco. Si concedeva qualche piccolo godimento, come un bel pranzo a base di polli (che, allora godevano di alta considerazione mangereccia) insieme con i suoi allievi, i giovani Strassoldo di Joannis.

La seconda epidemia di colera (1855) gli fu fatale e se ne andò travolto dal male, insieme con decine e decine di Vischesi, ma la strage era dappertutto. Una lapide quasi illeggibile segna il luogo dov’è sepolto, ma un’altra, di pochi anni fa, lo perpetua sulla casa natale, a Tapogliano. Rarissimi si ricordano di portargli un fiore: per quello che ha fatto per tanti paesi, la sua tomba dovrebbe esserne sommersa… Predicava in un bel friulano, per cui, se lo si supplica di intercedere presso Dio affinché faccia cessare anche questa, si può indirizzargli tranquillamente anche un Sant’Antoni Marcuz, viôt di preâ il Signôr che l’ vedi dȗl di nȏ!, Sant’Antonio Marcuzzi, ti raccomando di pregare il Signore, che abbia pietà di noi!

Nella foto: la facciata di casa Marcuzzi a Tapogliano, con la lapide e l’ancona di San Martino, il santo della carità, patrono di Tapogliano (l’affresco è di Giovanni Gabassi).

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