LA LETTERA
Lettere - La medicina giusta contro un’industria che sfrutta e silenzia i lavoratori

Francovig ritorna sui diritti dei lavoratori e sulla responsabilità sociale in un contesto di potere industriale che vede sullo sfondo Fincantieri.
Ci scrive Luigino Francovig che ancora una volta “esplora” la critica situazione lavorativa di Monfalcone, una città fortemente dipendente da Fincantieri. Lo fa evidenziando le conseguenze dello sfruttamento dei lavoratori e la mancanza di riconoscimento dei loro diritti. Si analizza come la grande industria abbia influenzato la politica locale, portando ad «un appalto in bianco» e a una crescente impotenza contrattuale. Secondo l’autore, nonostante l'acquisizione di nuovi progetti da parte dell'azienda, il clima di sfiducia e isolamento tra i lavoratori è palpabile. Il testo proposto dall’autore sottolinea infine l'importanza di investire nel capitale umano e di «restituire dignità ai lavoratori», proponendo una riflessione sulla necessità di un cambiamento culturale e sociale per garantire un futuro sostenibile alla comunità. (S.F.)
Monfalcone è una città “Fincantieri – dipendente” che ha come conseguenze lo sfruttamento dei lavoratori, il mancato riconoscimento salariale, il mancato rispetto di diritti come gli spogliatoi, i costi sociali scaricati sul territorio. E la conseguenza dei rapporti di forza impari nello scontro di classe. Da alcuni anni la grande industria detta la condotta alla politica locale, applicando la linea del Governo Meloni “non disturbare chi produce”, un appalto in bianco, senza regole. A livello locale si è tradotto nelle giravolte a vuoto sulla centrale A2a, nei silenzi sui 670 tecnici Fincantieri, e quelli sui 2700 posti spogliatoio che dovevano essere consegnati a settembre 2021, sui soldi dei risarcimenti regalati ai responsabili delle morti amianto, arrivando allo stravolgimento della responsabilità dell’azienda sulle morti indicandola nel materiale, il tutto scolpito sul marmo.
La prepotenza verbale urlata e un modo per mascherare la mancanza di rispetto dei ruoli, l’impotenza contrattuale, la debolezza politica. Un isolamento scaricato sulla città, che paga. Mettere in discussione il sistema produttivo che ha trasformato l’azienda da “codina” delle partecipazioni Statali a leader nel mondo, dimostra una povertà culturale spaventosa, una presa in giro sapendo non veritiera. Altro è mettere in piedi il contrasto per bloccare la spremitura degli incentivi pubblici, dei lavoratori, della città, dell’appalto, solo per i loro interessi, ma questo si guarda bene di non farlo. Siamo al paradosso, quello dell’utilizzo del lavoro per sconfiggere i lavoratori, un obbiettivo raggiunto. Le conseguenze si sono riversate aumentando le crisi dei partiti, delle istituzioni, dei sindacati che li rappresentavano, ognuno nel proprio ruolo. La ricetta adottata, quella di salvarsi individualmente è stata fallimentare, ha aumentato le distanze, le divisioni, la debolezza.
Più grave di questo è solo il giudizio critico dei lavoratori che ha portato alla sfiducia, alla ritirata della partecipazione. Un’assurda spirale, dove, chi produce capitale non partecipa al tavolo dove viene redistribuita la ricchezza, da loro prodotta. Nei giorni scorsi l’azienda ha acquisito quattro navi assicurando un carico di lavoro importante che copre oltre dieci anni, conferma la solidità dell’industria leader mondiale nella croceristica. A livello locale molto è cambiato, dalla festa, quando veniva acquisita una nave ad oggi che c’è un sentire di silenzio, di imbarazzo a parlare, e quasi un subire a testa bassa, che nasconde l’assenza di partecipazione nel processo in atto, un’impotenza di contrattazione.
Investire sul Capitale umano, sui Maestri del mare è centrale per la produzione e la qualità del prodotto come garanzia di continuità, è la posizione espressa dai “Padroni” per fare le barche. Investire sulle persone, lavoratori, artisti vuol dire riconoscerli, quindi farli tornare al centro. Ma con quale ruolo e quali condizioni? Su di Loro va accesa la luce, vanno conosciuti e ascoltati. Se creano prodotti di eccellenza che poi, altri, possono scegliere e godersi le albe e i tramonti patinati, va sostenuto e rivendicato che anche Loro hanno il diritto di vivere con dignità pari al prodotto che fanno, questa è civiltà.
Certo, il lavoro porta una serie di tematiche che vanno governate con il coinvolgimento dei diversi soggetti interessati seguendo lo spirito di rispetto, di squadra che è normale sul posto di lavoro, sconfiggendo le squallide strumentalizzazioni che tanto danno hanno fatto, impoverendo e indebolendo la città. Il carico di lavoro diventi “il punto di appoggio” e la costruzione di una vertenza sociale diventi “una leva” per far rinascere in modo duraturo la città e il territorio. I lavoratori sono la garanzia di continuità, nel loro ascolto, nella partecipazione si trova la medicina giusta per la cura e la guarigione delle forze democratiche.
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