Il racconto
Josip, l’uomo risorto dalla foiba: una storia dove non ci sono né vincitori né vinti

Il 27 gennaio cade l’anniversario dell’eccidio di Cerkno da parte nazista, che condusse ai crimini da parte del Vos, le milizie partigiane jugoslave. Testimonianze inedite fanno luce su quegli anni di guerra.
La guerra non riconosce vincitori né vinti, lasciandosi dietro solo una scia di devastazione e morte che testimonia l’inutilità di ogni conflitto. In questi giorni febbrili in cui si è finalmente raggiunto un accordo fra Hamas e Israele, almeno per un cessate il fuoco, sta per avvicinarsi l’anniversario del Giorno della Memoria, che coincide con quello dell’eccidio di Cerkno da parte nazista (1944), vendicato con la giustizia sommaria del 3 febbraio per mano dei partigiani jugoslavi. Circhina – in sloveno Cerkno – passò durante la storia di mano in mano: dopo la dominazione romana, longobarda e infine franca, nel 1927 venne inglobata alla ricostituita provincia di Gorizia. Fu con il trattato di Parigi del 1947 che passò alla Jugoslavia e quindi alla Slovenia. Se potessimo osservare i fotogrammi dei principali avvenimenti in sequenza accelerata, popolazioni e genti finirebbero per sovrapporsi in un turbinio di mescolanze. Ma questa storia intende riportare alla luce chi per anni ha vissuto nell’ombra, sopravvivendo alle foibe e alle atrocità della Guerra fredda: Josip Bavcon, o Giuseppe Baucon, le cui vicende si sono intersecate a quelle della partigiana antifascista Milojka Štrukelj.
L’adolescente Milojka nacque a Salcano nella primavera del 1925 e venne uccisa nella fredda mattina di gennaio insieme ai compagni della Scuola di partito, coordinata dallo scrittore Ivan Bratko. Ad affidare le memorie di Josip allo scrittore istriano Giacomo Scotti è la nipote Marija Oseli, presente anche alla cerimonia per lo svelamento della targa intitolata a Norma Cossetto e Milojka svoltasi lo scorso 5 ottobre. Due vittime giovanissime, unite da quello stesso beffardo destino che la storia riserva senza sconti per nessuno: l’una uccisa dai partigiani, l’altra dai nazisti un anno prima. I loro nomi restano a monito contro ogni violenza o sopraffazione, ma sul monumento eretto ai caduti presso il Parco della Rimembranza a Gorizia campeggia anche quello di Josip, “l’uomo risorto dalla foiba”. Il testo, che non ha ancora trovato editore, è stato trasmesso al nostro quotidiano nella speranza di trovare eco fra la cittadinanza. «Non è ben visto, per questioni politiche», commenta Oselj, aggiungendo come l’obiettivo sia quello di raccontare «non tanto la storia di mio nonno, quanto come si svolsero realmente i fatti». E veniamo al mistero dell’uomo che tornò dall’inferno della foiba.
Baucon Giuseppe nacque a Gradisca d’Isonzo nel 1901, e dopo un periodo di apprendistato a Tolmino si trasferì a Cerkno, trovando come moglie Marija Makuz, che gli darà tre figli. Nella Cerkno occupata dai fascisti quanti non aderivano al Fascio venivano inviati al confino, come accadde a molti intellettuali italiani, fra cui Carlo Levi, Natalia Ginzburg e tanti altri. Per non perdere la gestione della trattoria Josip fu costretto a cedere alla dittatura insieme ai commercianti del paese. Quando qualche minuto dopo le otto del mattino del 27 gennaio le truppe tedesche attaccarono la scuola, allora deserta, i partigiani si diedero alla fuga verso il torrente e le alture di Brdce, inseguiti dai colpi della mitragliatrice appostata sul campanile. Le giovani vittime furono ben 48 - fra cui la diciottenne Milojka - per vendicare le quali le milizie partigiane del Vos prelevarono 15 uomini e donne, scelti arbitrariamente fra gli abitanti del paese e accusati di collaborazionismo.
Condotti a Lajše senz’alcun processo, vennero abbattuti e spinti nella voragine, dove tutti andarono incontro alla morte. Tutti, tranne uno: Josip. «Mio padre – racconta il figlio Jožko, oggi novantenne – era al suo posto di telefonista nel bunker “Njiva”», fuggendo avvertito da un collega e quindi interrogato dai Vos. I corpi dei 48 giovani vennero caricati sul carro dei Bavcon e trasportati al cimitero, per poi essere vendicati pochi giorni più tardi. Oltre al prete Piščanec avrebbero dovuto catturare la sorella, ma essendo a letto ammalata venne portata via la domestica. Così accadde per altri, come Angela Ržen, che passava le notti a cucire capi per i partigiani, o la sorella di Brika, rientrata da Gorizia con materiale sanitario destinato al Vos. «Le vittime furono prese prevalentemente fra commercianti e tavernieri – sottolinea Jožko – cioè fra coloro che davano maggiormente fastidio a Maks Štucin, che aveva un negozio e cercava in tutti i modi di sbarazzarsi della concorrenza».
Forse colpito di striscio, Josip precipitò nel vuoto rimanendo incosciente fino al mattino seguente. Aveva perso un occhio, ma riuscì a raggiungere la superficie grazie ai corpi delle vittime, che accatastò uno sull’altro fino a ritrovare la libertà. Attraverso l’altipiano di Šentviška Gora e poi con il treno raggiunse Gorizia, mentre la famiglia a Cerkno subiva le persecuzioni del Vos. I partigiani arrestarono di lì a poco la mamma Marija e la quindicenne Gisella, sorella di Jožko, il quale rimase solo con la dodicenne Gabrijela. A questo punto entrano in gioco i servizi segreti jugoslavi dell’Ozna, che ritenevano Josip un testimone scomodo. Quando nel maggio del ’45 le truppe jugoslave entrarono a Gorizia, Josip si presentò alle autorità nella speranza di chiarire, finendo in arresto. A guerra conclusa, centinaia di goriziani – sloveni e italiani collaborazionisti - vennero deportati verso le selve di Trnovo, dalle quali nessuno tornava indietro. Josip ebbe la fortuna di venire condotto a Lubiana, per poi essere rilasciato con il giuramento di non rivelare mai la propria storia. «Quelli dell’Ozna avevano paura che parlasse», spiega Jožko in riferimento al padre. Al quale venne persino rifiutata la pensione, subendo intimidazioni e minacce anche negli anni che seguirono, vivendo miseramente con la colpa di non essere né comunista né fascista. Perché la guerra non lascia solo cicatrici, ma condanna anche all’isolamento e alla dannazione.
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