In Campiello della Scala torna ‘La legge e l’amore’ tratto da Biagio Marin. Venerdì il bis a Gorizia

In Campiello della Scala torna ‘La legge e l’amore’ tratto da Biagio Marin. Venerdì il bis a Gorizia

A GRADO

In Campiello della Scala torna ‘La legge e l’amore’ tratto da Biagio Marin. Venerdì il bis a Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 06 Ago 2025
Copertina per In Campiello della Scala torna ‘La legge e l’amore’ tratto da Biagio Marin. Venerdì il bis a Gorizia

L’adattamento teatrale del racconto 'Il procuratore del re' viene riproposto stasera all’Isola del Sole. Si replica a Gorizia l’8 agosto in Palazzo de Grazia.

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Il campiello come microcosmo in cui ambientare un racconto del poeta Biagio Marin, che cristallizzò l’anima di Grado anche nella prosa. A tramutarsi in magico spazio scenico sarà il Campiello della Scala a due passi dal Porto Vecchio con la rappresentazione “La legge e l’amore” che andrà in scena stasera - 6 agosto - nell’Isola del Sole, per poi essere replicata venerdì 8 agosto in Palazzo De Grazia a Gorizia con Terzo Teatro. La pièce - tratta dalla novella “Il procuratore del re” e debuttata a marzo all’auditorium Marin – viene riproposta nell’ambito della rassegna estiva dell’associazione Grado Teatro con l’adattamento di Giorgio Amodeo che ne cura anche la regia. «Per tradizione – spiega Amodeo – la produzione di Grado Teatro presenta due serate all’aperto in periodo estivo. Per ogni lavoro si cerca di individuare la collocazione più adatta, in questo caso eliminando elementi scenografici per sfruttare quella che è la scenografia naturale». Scalini e muretti in pietra, ma anche vasi fioriti, lastricati e ingressi delle abitazioni private faranno da variopinto fondale per rappresentare la realtà più autentica e genuina del campiello graisano, quasi a restituire quelli goldoniani in cui la cornice della commedia è la piazza.

«Sfruttando gli edifici preesistenti – sottolinea – ci muoviamo sui gradini o lungo le mura. Mentre quando recitiamo in teatro siamo costretti a portare elementi che suggeriscono le cose lì non ce n’è bisogno, in quanto lavoriamo con meno materiale sfruttando l’ambientazione reale del luogo. Con il risultato che lo spettacolo a mio avviso è anche più bello. Certo, l’acustica e la visione non è la stessa che in teatro, dove è diversa anche l’attenzione». A narrare le vicende del magistrato (Giorgio Amodeo) che torna al paese natio sarà Tullio Svettini, anima del teatro approdato a Grado nel 1949 come profugo di Rovigno. «Mio padre fece teatro per vent’anni presso i Salesiani – ricorda il direttore artistico dell’associazione gradese – ma anche presso il teatro comunale. Sostenne sempre che il teatro per noi fosse motivo di vita». Un’eredità tramandata al figlio che l’ha coltivata con orgoglio e passione, trapiantandola nel cuore degli isolani e dell’intera regione oltre che in Istria. Sull’isola ebbe inizio il sodalizio con il poeta Marin, col quale strinse autentica amicizia.

«L’ho conosciuto e l’ho frequentato a casa sua – rammenta – dove lo ascoltavo molto volentieri: sembrava di sentir parlare un Socrate. Era un personaggio di alta statura, che ha onorato Grado. Aveva una grande stima per gli abitanti dell’Istria – prosegue – per questo scrisse le “Elegie istriane”, che abbiamo messo in scena parecchie volte». Un’infanzia, quella del poeta, trascorsa fra la laguna e la costa che oggi appartiene per la maggior parte alla Croazia, dove si recava insieme al padre con la barca per raccogliere olio e vino. «Il padre aveva un’osteria qui a Grado – precisa – quindi aveva contatti frequenti, che Biagio racconta nelle sue “Elegie” descrivendo i vari paesi incontrati».

Piccoli componimenti dai quali fiorirà la lettura scenica curata insieme a Renzo Sanson nel 1976, resa coniugando prosa, poesia e musica. «Il testo – precisa – venne scritto a due mani da Marin e dal giornalista Sanson di Trieste, che di lui fu grande amico. È un percorso ideale lungo la costa con una puntatina nell’interno - per esempio a Pisino - fino ad arrivare a Lussino». Mentre dall’antologia “Gabbiano reale (prose rare e inedite)” - edito dalla Leg nel 1991 per il centenario dalla nascita - viene estrapolata l’opera di stasera, messa in scena per commemorare i 40 anni dalla scomparsa di Marin.

«”La legge e l’amore” – chiosa - è tratto da un suo racconto molto delicato, adattato dall’amico e regista Omodeo». Al centro della storia l’amore giovanile per “la Dogaressa”, la cui omonima lirica in dialetto gradese aprirà la pièce. Una fanciulla destinata a morire in giovane età, che tuttavia saprà attenuare il rigore della legge conferendo connotati umani al giudice. «Il ricordo della fanciulla – chiarisce – riscatterà il magistrato come uomo anche capace di amare. Un allestimento della durata di circa un’ora accompagnato da musiche di Jean Sibelius con costumi di Lucia Macor e coreografie di Nausicaa Dell’ara. Lo spazio scenico si aprirà nel cuore di Grado a moltiplicare il valore della recitazione, lasciando trasparire l’amore dell’autore per quel “porto calmo” in cui oggi riposa.

«È la storia di un magistrato – aggiunge Amodeo – che dopo una vita dedicata interamente al lavoro torna nella propria città, che s’intuisce essere Grado, dove riscoprirà gli affetti familiari e farà un bilancio della sua esistenza». Intersecati ai dialoghi con amici e familiari sono le riflessioni intorno alla fidanzata incontrata un tempo e poi abbandonata. «L’abbiamo intitolato “La legge e l’amore” – rimarca – perché viene mostrato il classico contrasto teatrale che spinge a chiedersi se vengano prima i sentimenti oppure il dovere. Un discorso aperto che richiama l’immaginazione del pubblico. Nel senso che il teatro non è il cinema né la televisione, non può cambiare scenografia ogni secondo. Dev’essere lo spettatore a immaginare ciò che non c’è e a farsi la propria opinione. Il teatro – conclude - non afferma nulla, aiuta solo a porsi domande che consentano di vivere meglio».


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