La guerra era finita ma non la violenza, quando Pieris fermò il Giro con sassi e pietre

La guerra era finita ma non la violenza, quando Pieris fermò il Giro con sassi e pietre

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La guerra era finita ma non la violenza, quando Pieris fermò il Giro con sassi e pietre

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 23 Mag 2021
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Nell'estate di 75 anni fa, esponenti comunisti decisero di bloccare la corsa e rivendicare l'annessione alla Jugoslavia. La storia di quei momenti.

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Il Giro d’Italia è una manifestazione che non parla solo di sport, ma è completamente immersa nel contesto in cui si svolge. Fu così esattamente 75 anni fa, quando la carovana di ciclisti toccò la Bassa Friulana e il Goriziano nella tappa che collegava Rovigo a Trieste. Un percorso altamente simbolico, a circa un anno dalla fine della guerra e con una città in riva all’Adriatico ancora contesa tra Italia e Jugoslavia. Fu per questo che, all’altezza di Pieris (toccata anche quest'oggi dalla corsa), nel comune di San Canzian d’Isonzo, alcuni videro quella manifestazione come un “affronto” verso queste terre, decidendo di impedirne il proseguo. Era il 30 giugno 1946 e all’epoca Vittorio Spangaro, storico locale, aveva nove anni.

“Era una domenica - ricorda la memoria storica -, i comunisti filo-titini volevano che la Bisiacaria e Trieste venissero annesse alla Jugoslavia. Per cui, l’arrivo della tappa in questa zona venne considerata una provocazione. Per questo, i comitati del Pci di Turriaco, San Canzian, Pieris e Ronchi dei Legionari si sono riuniti qualche giorno prima in una casa contadina della zona, stabilendo il da farsi”. Ciò significava fermare la corsa, con un’azione eclatante. Venne quindi scelta come zona l’allora passaggio a livello tra Pieris e Begliano, oggi sostituito dal sottopasso. Quando i ciclisti arrivarono, “partirono le sassate, i chiodi grossi, anche qualche mattone e venne fermato tutto”.

Sulla strada, peraltro, venne buttati anche die bidoni di catrame. “La tappa fu considerata conclusa a Pieris, con l’assegnazione dello stesso tempo a tutti i partecipanti”. In ogni caso, però, alcuni decisero di proseguire la gara verso Trieste, anche se ormai priva di qualsiasi valore sportivo. A trionfare fu Giordano Cottur, triestino spentosi nel 2006, arrivando fino a Montebello. “Chi si attivò contro il percorso furono gli esponenti dell’Unione antifascista italo-slovena (Uais). All’epoca ero un bambino e, come tutti, mi ero messo a lato della strada, nel centro di Pieris. L’attacco avvenne un paio di chilometri più avanti”. Tra chi subì le violenze ci furono anche Gino Bartali e altre leggende del ciclismo italiano dell’epoca.

Ci furono anche dei feriti, come testimoniano ancora oggi le immagini dei vecchi cinegiornali dell’Istituto Luce. “Il Pci aveva diverse anime - prosegue Spangaro -, quella dominante nella zona voleva che il confine arrivasse fino all’Isonzo. Furono diverse le realtà che si opposero a questa manifestazione in zona”. In risposta ai sassi, arrivarono le manganellate dei “cerini”, ossia la polizia locale. “Non ci furono conseguenze, la cosa finì lì e venne considerata come una dimostrazione politica. Peraltro la polizia arrivò dopo, ci fu un fuggi fuggi”. Per ricordare quell’evento, il Circolo don Eugenio Brandl di Turriaco ha dedicato nel 2004 un suo quaderno, realizzato dalla professoressa Silvia Clama.

Nella foto: Giordano Cottur portato in trionfo a Trieste (Archivio del Circolo Brandl)

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