Grado ricorda l'Esodo: «ignoranza e indifferenza non devono prevalere»

Grado ricorda l'Esodo: «ignoranza e indifferenza non devono prevalere»

La commemorazione

Grado ricorda l'Esodo: «ignoranza e indifferenza non devono prevalere»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 10 Feb 2022
Copertina per Grado ricorda l'Esodo: «ignoranza e indifferenza non devono prevalere»

Cerimonia sentita sulle sponde dell'Adriatico. Il monito a ricordare e a lasciare un mondo senza odio.

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Una cerimonia semplice e composta, così come i ricordi dei pochi esuli ancora in vita presenti alla cerimonia. Di figli e nipoti che ricordano quegli eventi ve ne sono ancora molti, in giro per l’Italia, ma di coloro che hanno vissuto sulla propria pelle quegli anni difficili il numero inizia a scendere. Piano piano. Come il ricordo.

A Grado tanti sono stati gli esuli arrivati negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale e che si erano stabiliti sull’Isola. Oggi, Giorno del Ricordo, un accorato momento è stata l’occasione per ritrovarsi e commemorare. Un primo momento alla Pietra che ricorda le terre istriane e dalmate e, poi, la deposizione della corona al Piazzale Martiri delle Foibe nel retro del palazzo municipale. Da un lato il municipio, dall’altro il mar Adriatico che D’Annunzio non aveva esitato a definire “amarissimo”, anche se per ben altre motivazioni. Un’unione anche geografica l’ha realizzata Tullio Svettini recitando una lirica del gradese Biagio Marin.

Presenti il sindaco, Claudio Kovatsch, assieme al vicesindaco Roberto Borsatti e all’assessore Sara Monferà, il parroco monsignor Paolo Nutarelli, la Polizia Locale, il Circomare, i Carabinieri e le associazioni combattentistiche. Un momento musicale, con il canto del Va Pensiero e di 1947 di Sergio Endrigo, è stato curato dalla Corale Santa Cecilia.

“Non si può cancellare nulla, la tragedia della guerra, le foibe, l’esodo. Il 10 febbraio 1947 l’Italia firmò il Trattato di Pace”, ha ricordato il sindaco, Claudio Kovatsch. “Quella è divenuta dopo anni una data simbolica per ricordare le migliaia di italiani dell’Istria, del Quarnaro e della Dalmazia che alla fine della Seconda Guerra Mondiale subirono indicibili violenze trovando anche la morte nelle foibe del Carso. La repressione Jugoslava costrinse quelle persone a intraprendere la dolorosa via dell’esodo e dell’esilio, abbandonando le proprie case. Esodo che va inteso in modo tecnico, di spostamento sistematico di una popolazione”.

“Un destino amaro per quelle genti che vivevano da secoli su quelle sponde e per le quali la Seconda Guerra Mondiale si è rivelata fonte di una immane tragedia. L’italianità adriatica di Istria, Quarnaro e Dalmazia venne dispersa e radicata. Stuparich e Gambini furono testimoni e custodi dell’italianità. Non si può dimenticare nulla, né il male del fascismo né il dolore inflitto a migliaia di italiani. Ciascun paese ha dolore di ricordare la memoria e di non cancellare le tracce di quel passato. Il ricordo di oggi è un monito per noi. Bisogna impedire che ignoranza e indifferenza abbiano la prevalenza e perché simili tragedie non abbiano a ripetersi mai più. È un dovere per i sopravvissuti, per i parenti di coloro che sono morti e per chi è stato testimone della tragedia. Bisogna costruire un futuro senza violenza e senza odio. Lo dobbiamo a noi e ai nostri giovani”, ha concluso Kovatsch.

“Con il massacro delle foibe iniziò l’esodo istriano, fiumano, dalmata, ovvero l’emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e lingua italiana”, ha raccontato Alda Devescovi, delegata dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia. “Fuggivano disperati e speranzosi verso la Madre Patria che invece, per anni, non li riconobbe, non li soccorse e li tenne come profughi, come vergogna da nascondere. Erano visti come rigurgiti del fascismo, invece che italiani”.

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