LA MANIFESTAZIONE
Gradisca, in 200 al corteo per dire no ai Cpr: «Restiamo umani»

Oltre venti le realtà sostenitrici, tra liste civiche, partiti, movimenti e associazioni del territorio. Gli interventi dei consiglieri regionali Honsell, Capozzi, Bullian, Pellegrino e Fasiolo.
Bandiere della pace e simboli di partito, politici locali e regionali, attivisti che si portano appresso le copie del nuovo numero delle riviste del loro movimento: trasversale, coeso e partecipato è il clima che si è respirato alla partenza del corteo di oggi pomeriggio a Gradisca d'Isonzo per chiedere collettivamente la chiusura del famigerato Centro di Permanenza per il Rimpatrio di via Udine e di tutte le strutture analoghe sul suolo italiano.
Annunciata a più riprese nelle scorse settimane fra dibattiti e conferenze stampa, la manifestazione promossa dai partiti Possibile, Movimento 5 Stelle, Rifondazione Comunista e dalla civica gradiscana Borghi per la Fortezza è cominciata alle ore 14. Fra centocinquanta e duecento coloro che vi hanno preso parte, in un percorso che da viale Max Fabiani ha attraversato via Garibaldi, via Aquileia e borgo Santa Maria Maddalena, arrestandosi come da disposizioni delle autorità a pochi metri dal cartello di stop, di fronte ai cancelli del Cara. Non è stato dunque possibile, per il corteo, raggiungere il piazzale antistante al Cpr.
Si tratta in ogni caso di «una manifestazione che torna dopo diverso tempo, quasi cinque anni» ha rievocato Antonello Marega di Rifondazione Comunista, uno dei promotori, e che «vuole essere soltanto l’inizio di questa nostra iniziativa». «Siamo qui dopo tutte le rivolte che ci sono state nel Cpr e a sostegno della mozione sottoscritta in Consiglio Comunale da tutti gli esponenti di maggioranza», queste le parole di Alessia Facchin, consigliera comunale di Gradisca d’Isonzo per la civica e Borghi per la Fortezza e portavoce del partito Possibile per il Comitato di Gorizia.
Situazione, quella del centro, attenzionata anche a livello europeo, sottolinea la giovane consigliera: «Il rapporto della Commissione europea per la Prevenzione della Tortura, pubblicato nell’ottobre 2024, è impietoso ed evidenzia condizioni strutturali degradanti, uso sistemico dell’isolamento, accesso medico fortemente limitato e in generale un trattamento disumano dei detenuti e la pessima situazione degli operatori che vi lavorano».
Lo striscione alla testa del corteo grida “No ai Cpr”, invitando a “restare umani”. Una sentenza condivisa da molte e diverse formazioni politiche: Rifondazione Comunista, M5S, Alleanza Verdi-Sinistra, Patto per l'autonomia, ma anche realtà come il Partito Comunista Rivoluzionario ed esponenti di movimenti anarchici locali. Un pluralismo «tutto sommato positivo», secondo alcuni manifestanti, poco soddisfatti però della «poca partecipazione generale». Fra i tanti loghi di partito, spunta e colpisce un cartellone da cui Marco Cavallo, uno dei simboli della rivoluzione di Basaglia, grida “Liberi Tutti”: «Al Cpr, a coloro che dovrebbero essere liberi e non rinchiusi, vengono somministrati anche psicofarmaci, che già Basaglia dimostrò essere inefficaci», spiega la giovanissima ragazza che lo ha disegnato, aggiungendo che «la salute mentale è un tema che riguarda la loro situazione come la nostra, ma non se ne parla mai abbastanza».
Giunto il corteo al capolinea del percorso, sono state le autorità politiche di Gradisca a cominciare gli interventi. A partire dal sindaco Alessandro Pagotto: «Facciamo queste manifestazioni non per un aspetto politico o ideologico, ma per una questione umana, poiché da un punto di vista umano non è questa la corretta maniera di gestire il fenomeno dell’immigrazione: i trattenuti del Cpr vengono gestiti e trattati in modi ben peggiori rispetto alle normali prigioni». «La nostra comunità conosce bene la questione, poiché da oltre vent’anni abbiamo questa realtà sul nostro territorio» ha dichiarato Pagotto, introducendo la mozione che, dopo le precedenti sei promosse dall’amministrazione Tomasinsig, il Consiglio comunale di Gradisca ha approvato e trasmesso a Consiglio dei Ministri, Presidente Fvg, Ministero dell’Interno e prefetto di Gorizia per chiedere l’immediata chiusura del centro di Gradisca e di tutte le analoghe strutture presenti in Italia. Il documento, letto poi integralmente da Facchin, chiede anche la promozione «in sede nazionale e regionale» di una «revisione delle politiche in materia di immigrazione, con particolare attenzione al superamento del modello di gestione dei Cpr», riportando nelle premesse tutti i gravi fatti degli ultimi mesi – rivolte, scontri con le forze dell’ordine, tentativi di fuga, detenuti che salgono sul tetto in segno di protesta –a «riprova della tensione insostenibile che si vive in questi luoghi di reclusione forzata».
I successivi interventi hanno visto alternarsi i consiglieri regionali presenti al corteo: da Rosaria Capozzi del M5s a Furio Honsell, che ha ribadito come «è chiaro che in questa struttura, una delle varie “Guantanamo” italiane, si stanno perpetrando violazioni costituzionali», fino all’appello di Laura Fasiolo del Pd al rispetto dei diritti delle persone trattenute, «aspetto umano che dovrebbe mettere d’accordo tutte le parti». «In Italia ci sono cinque milioni di stranieri regolari e solo mezzo milione di irregolari – ha citato invece Enrico Bullian – su seimila persone che passano nei Cpr all’anno, ne viene rimpatriata solo la metà»; «numeri minimi», secondo Diego Moretti, «che mostrano tutti i limiti di tale sistema, per non parlare del fatto che questi luoghi sono “carceri” senza di fatto avere il quadro legale per esserlo, non hanno agenti di polizia penitenziaria e drenano da anni risorse delle Forze dell’Ordine dal Territorio».
«Siamo riusciti a chiudere il Cie solo dopo che è andato a fuoco, per poi trovarlo riaperto come Cpr sotto mentite spoglie»: così invece la consigliera Serena Pellegrino, che ha rievocato i problemi grossi causati dalla struttura «anche in passato, quando era ancora fuori da qualsiasi agenda politica», ed ha criticato la destra locale per il «minestrone» che fa affrontando la questione, «ad esempio quando sostengono che, chiudendo il Cpr, tutto il territorio diventerà come Monfalcone». Ritiene infatti che la manifestazione di oggi non sarà affatto l’ultima Luigi Bon, di Rifondazione Comunista: «Saremo purtroppo ancora qui in futuro, a promuovere manifestazioni – le parole del suo intervento - perché non c’è attualmente una visione diversa su temi come immigrazione ed accoglienza, manca una visione che non sia fatta di strumenti repressivi».
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