Gorizia, torna Talk Radio portando le note della libertà

Gorizia, torna Talk Radio portando 'le note della libertà'

L’EVENTO

Gorizia, torna Talk Radio portando 'le note della libertà'

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 05 Mag 2025
Copertina per Gorizia, torna Talk Radio portando 'le note della libertà'

Lo spettacolo che andrà in scena il 6 maggio ripercorre la storia della stazione radio portata dagli Alleati tra il 1945 e il 1947.

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Nascono e si dilatano in cerchi concentrici fino a spegnersi come le note nel romanzo sartriano “La nausée”. Sono canzoni che hanno scritto pagine di storia del jazz, che verranno riproposte nello spettacolo “Talk Radio – Jazz e Libertà nella Gorizia del 1945” in programma al teatro Verdi del capoluogo isontino. La pièce andrà in scena martedì 6 maggio alle 20.45 e trae ispirazione dalla parabola musicale che Gorizia visse fra il 1945 e il 47, quando gli alleati americani aprirono una stazione radio presso la struttura che ospitava la comunità religiosa di Sant’Orsola. Presentata lo scorso anno a Mittelfest con grande successo, l’opera di musica e letture non poteva che trovare spazio nell’anno della Capitale europea della cultura. «Ho insegnato a Gorizia diversi anni – racconta l’ideatore e direttore musicale Valter Sivilotti – fu allora che sentii parlare di questa radio, che dopo la guerra trasmetteva per gli americani ed era ospitata nel palazzo delle Orsoline».

I testimoni che lo ricordano si contano sulle dita d'una mano, riportando notizie frammentarie di una radio che sfuggì all’attenzione generale, rimanendo quasi confinata nella sfera della leggenda. «Passò inosservata – prosegue – ci sono pochissime testimonianze di questa radio avvolta nel mistero. Si dice che persino la Big Band americana di Trieste fosse passata a registrare a Gorizia. Abbiamo ricostruito questa storia basandoci sulle informazioni che avevamo, e naturalmente sulla fantasia». Marco Caronna, uno speaker radiofonico e anche regista, annuncia la scaletta dei brani che saranno eseguiti dall’orchestra dell’Accademia musicale Naonis, in cui spiccano Glauco Venier al pianoforte, Mirko Cisilino alla tromba e Alfonso Deidda al sassofono.

Si partirà con “La plus belle Africaine”, tributo di Duke Ellington ai suoi viaggi in Africa, per proseguire con “Blue Pepper” e “What is this thing called Love?” scritta nel 1929 da Cole Porter. E ancora, “Summertime” composta da George Gershwin nel 1935, “Night and day” di Porter e “Someone to Watch over me” di Gershwin. A chiudere la serata saranno due brani composti da Glauco Venier: “Distance” e “Gorizia”, mentre le note si intersecano in contrappunto al testo scritto dal friulano Angelo Floramo. «Lo spettacolo nasce lo scorso anno – spiega l’autore nato a Udine - quando mi hanno proposto di inventare i possibili testi che avrebbero dovuto raccontare questa storia misconosciuta. Quella di una radio degli alleati dislocata nella zona del confine, con l’obiettivo non solo di recuperarne la storia, ma anche individuare gli scorci e le situazioni in grado di restituire l’emozione e il senso del confine».

Percorsi e sentieri in grado di restituire una «dimensione utopistica», in cui tutta la magia del jazz rivive attraverso la voce narrante dell’attore Alessio Boni. Lo stesso genere di note che spinse Cesare Pavese a scrivere i versi “A solo, di saxofono”, dove la sua anima «rabbrividisce e trema e s’abbandona al saxofono rauco» come «una donna in balia di un amante». Un canto rivoluzionario che nasce oltreoceano dal blues e dalle frustate subite nei campi di cotone, in nome di quella libertà tratteggiata con lampi di luce anche nei romanzi di William Faulkner. «Lo scopo era raccontare una musica che potesse fare da ponte – precisa Floramo – con la stessa Gorizia sullo sfondo che diviene cuore pulsante grazie alla musica jazz portata dagli States, ritrovando forme di meticciato».

Protagonista corale è la città con le sue voci e i suoi paesaggi, attraverso cui «tutto s’impasta e si contamina con l’odore della grappa di slivovitz e delle vecchie osterie», assurgendo a simbolo della nostra terra. «Oltre a Gorizia, il protagonista è colui che parla di notte alla radio – specifica – ma anche gli stessi musicisti che si esibiscono, rappresentando la proiezione del nostro sentire più profondo, che è nostalgia, speranza e il sognare un mondo diverso». Una realtà in cui l’umanità non debba deporre corone su altari e monumenti, e per la quale lo scrittore auspica «più matrie che patrie». «In nome delle patrie – riflette - si è sempre chiesto il sacrificio alla meglio gioventù. Qualche settimana fa mostravo a scuola una madre che correva portando fra le braccia il figlio morto». 

Che fosse di Gaza o del Donbass, la domanda provocatoria del docente – che insegna al Magrini Marchetti di Gemona – intendeva dimostrare come nessuna madre possa mai essere orgogliosa della morte dei propri figli. «Se ci fossero più matrie che patrie probabilmente non avremmo l’orrore delle guerre, perché ritengo che la parte femminile del mondo sia quella che ha maggior capacità di resistenza e di sogno». Una città che si dibatte ancora fra lo spirito di rinnovamento e una certa volontà di chiusura. «Credo che una città che abbia ancora Mussolini come cittadino onorario non si presenti bene. Sono convinto che puntare sui grandi happening possa rappresentare un polo d’attrazione, ma il mondo si coltiva dal basso, a partire dalle nuove generazioni». In questo senso lo spettacolo intende farsi “canto di libertà”, portando un messaggio che consenta di ritrovare «nel canto sporco da taverna e da osteria quella poesia fatta di terra e rugiada».

Di qui la distinzione ribadita da Floramo fra il concetto di “confine” e quello di “frontiera”. «La frontiera è qualcosa di naturale, una mescolanza assoluta che ha l’odore del vino e della jota. Rappresenta l’impasto, ed è femmina. Il confine ha connotati maschili, è violento e innaturale e viene tracciato da altri, che erigono muri e fili spinati. È controllato da coloro che indossano divise e uniformi, che ti obbligano a portare con te documenti. Mentre la frontiera ama la differenza e l’alterità, è un completo sovvertimento fra alto e basso», conclude.

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