IL CONVEGNO
Gorizia si interroga sul futuro di ospedali e sanità, Fasiolo: «Crisi annunciata»

‘Gorizia Attiva’ e ‘#SalviamoSSN di Gorizia - Fondazione Gimbe’ hanno denunciato lo stato di crisi, «carenza di infermieri e medici».
Un intricato sistema di scatole vuote. È quello che sembra delinearsi in seguito alla creazione di Case e Ospedali di Comunità, con il rischio di rimanere senza personale adeguatamente formato e chiudere gli ospedali di primo livello. Il monito è del senologo Adelino Adami, intervenuto durante il convegno “Servizio Sanitario Nazionale: il bene comune da non perdere” organizzato da Gorizia Attiva in collaborazione con il Nucleo di Coordinamento della Rete Civica #SalviamoSSN di Gorizia - Fondazione GIMBE. Nella gremita Sala Europa dell’Isis Galilei, il dibattito si è incentrato sulla necessità di modificare lo stato di crisi e la mancanza di personale attraverso strategie che da un lato ne agevolino il percorso professionale, dall’altro favoriscano pazienti oncologici o malati cronici che non possono essere seguiti dagli Asap.
«Quale futuro – domanda retoricamente Adami - per l’ospedale delle città?». Il presupposto è «offrire al paziente la giusta intensità di cura», risolvendo a domicilio ove possibile, integrando “Spoke” e “Hub” con Case e ospedali di comunità. Una medicina territoriale sulla quale il Pnrr ha investito 7 miliardi di euro, dedicando ulteriori due miliardi alle Case e “un solo” miliardo agli Ospedali di comunità. «Tutti questi fondi – avverte – sono stati vincolati a opere edilizie. Il pericolo è costruire scatole vuote in cui manchi il personale», costringendo ad attingere alle strutture già sottodimensionate. Un perverso meccanismo a cascata che pone a rischio chiusura i centri “Spoke”, indebolendone il ruolo di filtro e sovraccaricando di rimando gli “Hub”. «È necessario - rimarca il presidente di Gorizia Attiva Pierpaolo Martina - diffondere consapevolezza che il Sistema sanitario nazionale è un bene da garantire alle generazioni future».
Un apparato inceppato che evidenzia «un Paese in cui la salute è un privilegio e non più diritto», come riflette la responsabile del Nucleo di coordinamento #SalviamoSSN del capoluogo isontino, Rossella Rizzatto. «Partecipare – spiega - non vuol dire solo venire a un convegno, vuol dire firmare un appello, diffondere una voce, portare una proposta, costruire reti nei territori». Dati alla mano, il mandamento monfalconese ha registrato in un anno oltre 44mila accessi al Pronto soccorso con 8mila ricoveri, contro i poco più che 27mila di Gorizia e 6mila ricoveri. Una mole di attività che, pur senza prendere in considerazione l’operato del personale di entrambi i poli ospedalieri, influenza i finanziamenti futuri. «Meno ricoveri – mette in guardia Adami – meno finanziamenti». Di qui l’importanza di non depotenziare ulteriormente gli ospedali di primo livello. Che invece andrebbero tutelati facilitando il passaggio del personale dallo “Spoke” all’”Hub”, per evitare la disaffezione professionale e promuovere la crescita di medici e infermieri. In genere sono questi ultimi a sopportare turni estenuanti e paghe scarse, spingendo gli studenti universitari verso carriere maggiormente remunerate e gratificanti.
«Se volessimo portare il numero degli infermieri ai parametri europei – ipotizza - bisognerebbe incrementarne di 200mila unità. Sono pochi, con turni gravosi e mal retribuiti». Un divario per il quale correre ai ripari e mobilitarsi, per fornire a cittadinanza e amministrazione comunale la «corretta informazione», ribadisce Rizzatto. Concorde il medico Adriana Fasiolo, che ritiene la carenza di medici di medicina generale «un urgente problema emergenziale». «È una crisi annunciata – sottolinea – perché già quasi vent’anni fa si annunciava la gobba pensionistica. Si sapeva che dal 2017 al 2027 ci sarebbe stata una grossa uscita». Mancanza di appeal del medico di base dovuta in primis alla diversa retribuzione, cui si somma l’elevato numero di pazienti, che oscilla fra i 1500 e i 1800. «Noi abbiamo iniziato con pochissimi assistiti – ricorda – e il lavoro dava la possibilità di creare un rapporto di fiducia con il paziente». Un’impasse che potrebbe essere superata organizzando il lavoro, da distribuire fra personale amministrativo e infermieristico e implementando la telemedicina.
«Con il decreto Speranza nel 2020 vennero stanziati 236 milioni di euro – precisa – dando alla nostra Regione quattro milioni e 857mila. Ancora non si è vista volontà applicativa per queste risorse». Un vuoto economico al quale corrisponde la mancanza di 5mila 500 medici di medicina generale sull’intero territorio nazionale. «È un problema nazionale e regionale – aggiunge – ma soprattutto locale». Una percentuale di carenza che per il distretto isontino corrisponde al 38,64%. «Cosa manca e che cosa è mancato?», chiede Fasiolo. «I dati Enpam sui pensionamenti – osserva – mettono in luce una forbice che consente poche possibilità di lettura alternativa alla volontà di far scomparire la medicina generale nei prossimi vent’anni». Salvo iniziare fin da subito una concreta campagna di programmazione, in cui proporre un massimale di 1000 pazienti e maggiori tutele per il personale femminile. A intervenire è stato poi l’infermiere Diego Melissa, che ha posto l’accento sull’incremento dell’età media e sul conseguente aumento di patologie cronico-degenerative. «Noi infermieri – specifica – siamo i pilastri su cui poggia il Sistema sanitario. Ma con una sanità sempre più burocratica rischia di venir meno la centralità dell’individuo. È necessario cambiare il paradigma culturale».
Fra gli interventi di rilievo si pone il decreto antiviolenza, ma molti restano i passi da compiere per evitare lo sgretolamento di un organismo malato. «Il futuro è la medicina privata – lamenta Franco Zotti dalla platea – e l’ospedale di Gorizia si avvia alla chiusura». «La persona malata non si cura con il deus ex machina – prende la parola il medico Simona Liguori – ma col fare rete, come ricordava Rizzatto». E mostrando la bozza di piano oncologico redatto nel 2017 in sinergia con altri colleghi, ha ribadito la propria contrarietà al nuovo piano deliberato dalla giunta regionale lo scorso anno. «Si è formata un’unità d’intenti – conclude Martina al termine della serata – che finora non s’era vista». Riflessioni utili a evidenziare come «il servizio sanitario pubblico sia la costruzione più bella della nostra storia democratica repubblicana». Un’opera da salvaguardare, che rende la sanità «l’unico vero servizio in cui l’umanità debba prevalere».
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