A Gorizia il Festival del Cambiamento riflette su pace globale e multilateralismo: «Serve un nuovo approccio»

A Gorizia il Festival del Cambiamento riflette su pace globale e multilateralismo: «Serve un nuovo approccio»

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A Gorizia il Festival del Cambiamento riflette su pace globale e multilateralismo: «Serve un nuovo approccio»

Di Mattia Zucco • Pubblicato il 08 Ott 2025
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Diplomatici, religiosi ed esperti di politica estera hanno animato il pomeriggio del Festival del Cambiamento, discutendo del ruolo dell’Europa, della diplomazia e dei legami tra clima e sicurezza. Tajani in videomessaggio: «L’Italia sostiene il piano di pace statunitense per Gaza».

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Diplomazia, pace globale e libertà d’informazione sono stati al centro del pomeriggio del Festival del Cambiamento – Gorizia città della pace giusta, che mercoledì ha visto riuniti diplomatici, accademici e giornalisti per discutere dei nuovi equilibri internazionali e del ruolo del multilateralismo.

Il primo panel, dedicato a "Multilateralismo e diplomazia per una pace giusta", ha esplorato il ruolo dell’Unione Europea e delle organizzazioni internazionali in un mondo multipolare e instabile. L’obiettivo dichiarato era «ragionare su strumenti e approcci capaci di rilanciare il multilateralismo come motore di una pace equa, non subordinata ai rapporti di forza».

Moderato dalla giornalista de Il Foglio Ginevra Leganza, il panel ha visto la partecipazione di: Sebastiano Cardi, già rappresentante permanente d’Italia all’ONU; Mohammed Loulichki, ambasciatore del Marocco e senior fellow del Policy Center for the New South; monsignor Vincenzo Paglia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita; Martin Sajdik, già inviato speciale dell’OSCE per l’Ucraina; e Silvia Francescon, esperta senior di politica estera per Ecco.

Cardi ha ricordato che «il sistema delle Nazioni Unite nacque per evitare nuovi conflitti dopo la Seconda guerra mondiale, e in questo è riuscito. Ma il mondo è cambiato profondamente, mentre l’ONU è rimasta pressoché la stessa. Oggi esistono Paesi che preferiscono agire senza regole, minando l’equilibrio internazionale».

Loulichki ha sottolineato come il multilateralismo debba tornare a difendere i più deboli: «Per decenni il Sud globale è rimasto ai margini dei tavoli decisionali. Ora quelle nazioni chiedono di essere pienamente incluse nella governance mondiale».

Monsignor Paglia ha lanciato un avvertimento culturale e morale: «Viviamo un cambiamento d’epoca. L’uomo può distruggere se stesso e il pianeta, non solo con le armi nucleari, ma anche con il clima e le nuove tecnologie. Serve un sussulto culturale che risvegli il multilateralismo in tutti i settori della società».

Silvia Francescon ha evidenziato il legame tra crisi climatica e sicurezza: «Il clima è un moltiplicatore di minacce. Le crisi globali sono aggravate dal cambiamento climatico, che provoca scarsità di risorse, migrazioni e nuove tensioni. La sicurezza non si tutela più solo con la forza militare, ma anche proteggendo risorse e cultura».

La stessa ha inoltre approfondito il rapporto tra diplomazia e contesto regionale, sottolineando come le sfide multilaterali oggi richiedano approcci più flessibili e un maggiore coordinamento tra organizzazioni sovranazionali ed attori locali, per prevenire conflitti e promuovere una pace sostenibile.

Il secondo panel, "Racconti dal fronte", ha offerto un ritratto vivido della guerra attraverso gli occhi dei giornalisti che la raccontano ogni giorno. Fabio Tonacci (La Repubblica) ha descritto la sensazione che accompagna ogni reportage: «L’odore che unisce Gaza e l’Ucraina è quello dell’ordigno esploso. Sul campo la realtà è chiara, complessa e immediata; tornato a casa, invece, tutto si riduce a una tifoseria, bianco o nero».

Fausto Biloslavo (Il Giornale) ha ricordato l’importanza del racconto dal vivo: «Cerco di riportare le piccole storie con obiettività, senza paraocchi. Il mondo non è diviso tra buoni e cattivi, ma fatto di molte sfumature».

In collegamento da Buenos Aires, Stefania Battistini (Rai – Inviato speciale) ha condiviso la sua esperienza sul campo: «In situazioni estreme cadono le barriere di genere e individualità. Si smette di pensare come singoli e si agisce come parte di una comunità, con responsabilità condivisa».

Dal Libano, Francesco Semprini (La Stampa) ha raccontato la distruzione di villaggi sciiti: «La guerra non riguarda solo i luoghi più noti, ma anche fronti dimenticati che influiscono direttamente sul conflitto israelo-palestinese».

Lorenzo Cremonesi (Corriere della Sera) ha sottolineato il privilegio e la responsabilità dei giornalisti di cronaca estera: «Siamo sul campo e possiamo cambiare prospettiva. La cronaca estera oggi è più importante che mai: l’Europa è direttamente coinvolta nei conflitti, e la narrazione dal vivo è essenziale».

Infine, Andrea Romoli, goriziano e inviato del Tg2, ha riflettuto sul valore simbolico della città: «Gorizia, un tempo segnata dalla guerra, oggi mostra cosa significhi convivenza e tutela delle minoranze. È un esempio che può ispirare altri contesti di crisi».

Durante il pomeriggio è stato trasmesso anche un videomessaggio del ministro Antonio Tajani, che ha ribadito l’impegno dell’Italia per la pace in Medio Oriente: «Sosteniamo con convinzione il piano di pace del presidente degli Stati Uniti, speranza concreta per cessate il fuoco, liberazione degli ostaggi e accesso umanitario a Gaza». Le conclusioni sono state affidate infine a Antonio Paoletti, presidente della Camera di Commercio Venezia Giulia, che ha ricordato il ruolo di Gorizia come laboratorio di pace e ponte di dialogo.

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