Gorizia, chiuso il Giubileo in diocesi. L’arcivescovo Carlo: «La speranza non finisce qui»

Gorizia, chiuso il Giubileo in diocesi. L’arcivescovo Carlo: «La speranza non finisce qui»

La celebrazione

Gorizia, chiuso il Giubileo in diocesi. L’arcivescovo Carlo: «La speranza non finisce qui»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 28 Dic 2025
Copertina per Gorizia, chiuso il Giubileo in diocesi. L’arcivescovo Carlo: «La speranza non finisce qui»

Nella Chiesa metropolitana la liturgia conclusiva nell’Anno Santo. Dalla Santa Famiglia alla croce, il cammino di una speranza affidabile che accompagna la vita dei credenti oltre il tempo giubilare.

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Nella festa della Santa Famiglia di Nazareth, domenica 28 dicembre, l’arcivescovo di Gorizia Carlo Redaelli ha presieduto nella Chiesa Metropolitana la liturgia di chiusura dell’Anno giubilare 2025 nell’arcidiocesi. Una celebrazione intensa, segnata dal ringraziamento per il cammino compiuto e dallo sguardo rivolto al futuro, nella consapevolezza che la speranza cristiana non si esaurisce con la conclusione del Giubileo. Messa accompagnata dal Coro diocesano, diretto da don Francesco Fragiacomo con all’organo Marco Colella.

Nell’omelia, l’arcivescovo ha ricordato come l’Anno santo sia stato strettamente legato ai 2025 anni dalla nascita di Gesù e al mistero della redenzione, celebrato nel Natale. Un dono da accogliere con riconoscenza e gioia, chiamando ciascuno a una conversione più profonda. Al centro del Giubileo, voluto da papa Francesco, il rafforzamento del cammino dei credenti come pellegrini di speranza.

Richiamando la bolla di indizione Spes non confundit, l’arcivescovo ha sottolineato come il cuore dell’Anno santo sia stato l’incontro vivo e personale con Gesù, «porta di salvezza» e «nostra speranza». Un incontro che, nelle sue parole, molti hanno potuto sperimentare, riscoprendosi «scelti da Dio, santi e amati», secondo l’espressione di san Paolo. Da qui nasce una speranza non illusoria, ma affidabile, fondata sulla Pasqua di Cristo e capace di sostenere la vita anche nelle prove.

Ampio spazio è stato dedicato alla memoria riconoscente delle esperienze giubilari vissute dalla comunità diocesana, dal pellegrinaggio a Roma a quelli decanali in Cattedrale, fino ai luoghi giubilari presenti sul territorio, come la basilica di Aquileia, il santuario di Rosa mistica a Cormons, San Giusto, la chiesa dell’ospedale di Gorizia, Barbana e la Marcelliana di Monfalcone. Accanto ai segni esteriori, l’arcivescovo ha invitato a riconoscere ciò che quest’anno ha operato nel cuore di ciascuno, auspicando per molti una vera “seconda conversione” citando l’ultima lettera pastorale.

Nel giorno dedicato alla Santa Famiglia, lo sguardo si è poi posato su Gesù, Maria e Giuseppe, per interrogarsi sulla speranza che ha guidato le loro vite. Una speranza innanzitutto condivisa, quella del popolo di Israele, in attesa del compimento delle promesse di Dio ad Abramo e alla sua discendenza, ricordate nei cantici evangelici del Benedictus e del Magnificat.

La riflessione si è quindi soffermata sulla dimensione personale della speranza. Per Giuseppe, essa ha preso la forma del desiderio di portare a compimento il compito affidatogli, quello di essere padre di Gesù nella quotidianità semplice di Nazareth. Per Maria, la speranza è stata un cammino di ascolto e meditazione, fino ad accogliere il mistero di un Figlio che non si manifesta come re potente, ma come servo sofferente. Per Gesù, infine, la speranza si è identificata con l’accoglienza del Regno di Dio e con l’affidamento totale alla volontà del Padre, anche di fronte al rifiuto e alla croce.

Proprio da quella croce e dalla risurrezione, ha concluso l’arcivescovo, nasce la speranza dei cristiani. Una speranza che non termina con il Giubileo, ma accompagna il pellegrinare terreno verso l’abbraccio finale del Padre, sostenuti dall’intercessione dei santi e dei patroni delle comunità. Un orizzonte che continua ad aprirsi, oltre ogni tempo straordinario, nella vita quotidiana della Chiesa.

Al termine della celebrazione eucaristica, ogni parrocchia o Unità pastorale ha ricevuto dalle mani del presule una lampada accesa, segno tangibile che il cammino giubilare prosegue e non si ferma e con l’augurio di «mantenere sempre accesa la lampada della speranza». 

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