la storia
Gorizia, l'arte di Eva Giurco racconta la malattia all’Istituto Tumori di Milano

L'autrice presenta la sua nuova forma d’arte, dove la malattia viene messa a nudo dall’interno. La mostra dal 30 giugno al 2 luglio.
Trasformare la malattia in colore: per urlare, per superare la sofferenza fisica ed emotiva che comporta. Ma anche per guardare questa malattia da un punto di vista diverso, intimo e interno, analizzando cellule, organi, masse aggredite dalla chemioterapia. Per la loro originalità, ma anche per il loro carattere estremamente incisivo, le opere di Eva Giurco di Gorizia fungeranno da corollario al prossimo convegno internazionale che l’Istituto Tumori di Milano dedicherà alla fibromatosi desmoide.
Patologia estremamente rara che le è stata diagnosticata nel 1993, la desmoid ha sempre dettato i tempi della carriera di Eva, che ha iniziato a dipingere proprio per dar voce ai sentimenti innescati dalla malattia dopo un corso frequentato a Staranzano nel 2004 con gli artisti Franco Milani e Nicoletta Leghissa. A quella prima esperienza sono seguite le lezioni di Bruna de Fabris e i consigli di Enzo Valentinuz che l’ha presentata nella sua prima personale nel 2013 a Monfalcone, nella sala Antiche Mura.
In quell’occasione Eva ha presentato delle opere di tecnica tradizionale, su tela, ma i riferimenti troppo espliciti alla malattia hanno suscitato reazioni inaspettate sul pubblico, colpito troppo violentemente dai soggetti presentati. Un po’ per questo motivo, un po’ per assecondare la sua passione di sempre verso il corpo umano (da giovane aveva infatti intrapreso gli studi di infermiera, poi interrotti), Eva ha deciso di far parlare direttamente il suo corpo, o meglio: il modo in cui il suo corpo viene visto dagli strumenti diagnostici.
I pacchi di referti di risonanze magnetiche che ben tre volte all’anno le venivano consegnati si sono così trasformati nei supporti di una nuova forma d’arte, dove la malattia viene messa a nudo dall’interno, riducendo cellule e organi a sorta di mandala il cui impatto è dunque mitigato dal colore (smalto ad acqua) di cui viene rivestita la lastra. E su di essa possono trovare spazio anche brillantini e materiali che contribuiscono ad alleggerire la pesantezza di quel male che rimane sullo sfondo e che colpisce quella persona di cui si può comunque e sempre leggere bene in evidenza il nome.
L’originalità delle sue composizioni non passa certo inosservata alle diverse collettive cui partecipa né rimane sconosciuta ai medici dell’Istituto Tumori. Eva regala infatti un lavoro al suo oncologo Alessandro Gronchi ed è proprio su sollecitazione di quest’ultimo e della Desmoid Foundation che nasce l’idea della mostra. L’evento accompagnerà i quattro giorni di convegno (dedicato alle più innovative cure messe a punto per la malattia) e i lavori verranno sistemati nella sala riservata ai medici oltre che nella stanza in cui sarà possibile, per i pazienti interessati, ricevere un consulto dagli esperti internazionali della malattia.
Non ci saranno solo opere a parete ma si tratterà soprattutto di installazioni che rientrano nel progetto “Il corpo che abito”, con manichini rivestiti di lastre di risonanza ridotte a pezzetti, bugiardini delle chemioterapie e degli antidolorifici che l’artista ha dovuto assumere negli anni, un’opera all’uncinetto realizzata nel periodo del covid e delle installazioni con protagonisti gli appendini, metafora della vita appesa a un filo.
La mostra rimarrà allestita dal 30 giugno al 2 luglio ma ci sarà forse la possibilità di una sua proroga: con l’auspicio che la forza espressa da questi lavori possa essere di aiuto e di stimolo per Eva, consentendole di proseguire la propria ricerca, e per le persone che quotidianamente si trovano a dover affrontare il dolore che comporta la desmoid.
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