Gorizia, 65 anni di messa di don Ruggero: «Vivere la fede e discutere di società»

Gorizia, 65 anni di messa di don Ruggero: «Vivere la fede e discutere di società»

l'intervista

Gorizia, 65 anni di messa di don Ruggero: «Vivere la fede e discutere di società»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 23 Giu 2023
Copertina per Gorizia, 65 anni di messa di don Ruggero: «Vivere la fede e discutere di società»

Il sacerdote, 89 anni il 25 giugno, sarà festeggiato dalla parrocchia: «Abbiamo ancora troppa paura di andare contro il pensiero unico».

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Una voce alta e forte, quasi mai omologata e spesso difficile da gestire, con una linea di pensiero, nel bene e nel male, unica e personale. Il “vecchio leone”, utilizzando un modo di dire caro a molti parrocchiani, continua comunque a ruggire nonostante gli anni vadano avanti. Lui, monsignor Ruggero Dipiazza, a pochi giorni dal suo 65esimo anniversario di sacerdozio, che coincide anche con il suo 89esimo compleanno, da 56 anni alla guida della parrocchia di San Rocco a Gorizia.

Per l’occasione la parrocchia ha organizzato una serie di eventi che si svolgeranno proprio domenica 25 giugno, giorno dell’ordinazione e suo compleanno. Alle 10.30 la santa messa solenne con la corale di Santa Lucia durante la quale verranno eseguiti mottetti del maestro Orlando Dipiazza e la Missa Aquilejensis di Augusto Cesare Seghizzi. Al termine della celebrazione eucaristica saranno a disposizione le cartoline celebrative dedicate a monsignor Ruggero Dipiazza e al grande anniversario sacerdotale.

Alle 12.30 il pranzo comunitario nel campo Baiamonti a cura del Centro per le Tradizioni. Infine, alle 17.30, l’”Omaggio musicale a don Ruggero” a cura degli allievi del Csem Emil Komel, in sala Incontro. In tredici lustri di sacerdozio, don Ruggero ha visto cambiare una Chiesa, una società e, nel più piccolo, anche l’arcidiocesi e la stessa parrocchia che da oltre mezzo secolo lo vede alla guida. “Siamo usciti da una serie di sicurezze che erano poste soprattutto nel servizio alla liturgia e meno in altri ambiti. Si è cercato di indirizzarsi verso il servizio all’uomo ma non come umanità strutturata bensì all’uomo tout-court”, racconta don Ruggero.

“Negli anni Settanta e Ottanta abbiamo metabolizzato le richieste del concilio ma la difficoltà è stata non operare in modo deciso tanto che alcuni preti sono ritornati a forme devozionistiche e la realtà conciliare non si è espressa in toto”. Difficoltà emergenti sul piano ecumenico in quanto “quella che contava era una Chiesa che guardava al concilio come un ricostruire e non un aprire. Ora non siamo più in un’epoca di post concilio siamo in un’epoca post covid, altro evento dal quale non possiamo prescindere e che ha influenzato decisamente le nostre vite e il nostro modo di essere credenti. È tornata una sorta di libertà, anche una scelta radicale”.

Insomma, dove si è andati in questi 65 anni testimoniati nel servizio? “Ci siamo tuffati in una grande piscina senza acqua, con un bel tuffo, sia chiaro, ma senza acqua”. Don Ruggero non risparmia critiche ai confratelli: “Manca una considerazione di critica costruttiva all’interno del clero”, ribadisce. “Manca il coraggio di buttarsi nella mischia. A 60 anni dal Concilio mancano esempi che facciano capire che sia funzionato”. Identità e rapportarsi con la comunità in un modo che ricordi quello filiale.

“Un tempo il prete era chiamato ‘padre’ perché si identificava con la gente e si metteva al servizio del Popolo. Oggi dobbiamo chiederci se il prete esprime davvero un’identità o è solo un celebrante. Se il caso in questione è il primo allora bisogna seguire di più il fondatore, Gesù Cristo”. Il calo delle vocazioni, ma anche della presenza nelle chiese, “è un dato che desta preoccupazione perché ci si ritrova in un gruppo ridotto ai riti ma senza avere riferimenti storici né politici. Insomma, una comunità inerme al mondo con il quale dovrebbe essere in dialogo che, invece, non lo è. Il mondo vive nel denaro e nel mercato, noi dovremmo vivere nella persona”.

Per don Ruggero “viviamo in una società che salvaguarda i salvaguardati e protegge i protetti: siamo al paradosso”. Una ricetta vera non c’è. Negli anni varie sono le strade sperimentate ma ogni realtà ha le proprie caratteristiche singole. I riti sono importanti e vanno curati ma bisogna guardare anche alla catechesi e lavorare in un’espressione ecclesiale che manca di sostanza. Lavorare con i giovani e per i giovani, preparandoli al futuro e alla società anche in un’ottica di preparare i lavoratori nella messe del futuro”.

Don Ruggero non lesina critiche alle scelte sulle parrocchie a livello diocesano: “L’idea di aver riunito quattro parrocchie, tra cui la nostra, spostando i giovani al San Luigi, dai salesiani, ha fatto sì che non si trovassero più in un contesto parrocchiale in cui crescere ma in un luogo amorfo lontano dalla realtà. Si è inventato un posto inesistente. La parrocchia dovrebbe essere il serbatorio di persone che vengono educate a guardare lontano”. Insomma, quale deve essere il percorso del cristiano cattolico di oggi, in un parrocchia come San Rocco?

“Sicuramente l’impegno è dimostrare che l’uomo è in grado di esprimere Dio. Nella storia, con il rumore, vivendo le virtù teologali senza gesti che siano autoreferenziali, parlando di società, economia, politica e di futuro. Invece, proseguiamo in una Chiesa che ostracizza chi non si adegua al pensiero e nella società siamo sempre più emarginati e questo ci porta a non avere né spazio né parola: non ci sembra di essere più importanti e di avere forza”, conclude don Ruggero.

Di sicuro anche se gli anni passano alla velocità dei grani del rosario per chi è aduso all’instancabile preghiera tra i banchi delle nostre chiese, a don Ruggero l’augurio è quello, secolare, che si ripete all’interno delle Acclamazioni aquileiesi: “Deus conservet!”

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