L'esposizione
Gli orrori dei campi di concentramento, disegni dei bambini in mostra a Monfalcone

Si potrà visitare fino al 31 gennaio. Musina ribadisce, «la storia non è un'arma da brandire contro gli altri» mentre Cauci guarda all'Ucraina.
Una mostra dal forte impatto emotivo e storico. È “Quando morì mio padre”, una raccolta di ventisei pannelli a colori che riproducono scritti e disegni di bambini sopravvissuti alla deportazione nei campi di concentramento del confine orientale; realizzata in forma bilingue, indaga in particolare l’odissea dei bambini sloveni deportati nei campi di Gonars, Visco, Arbe-Rab e Monigo (Treviso) tra il 1942 ed il 1943. È stata realizzata grazie agli scritti e disegni di bambini sopravvissuti alla deportazione e messi per la prima volta a disposizione dall’Archivio di Stato della Repubblica di Slovenia e dal Museo Sloveno di Storia Contemporanea di Lubiana. Questi materiali costituiscono oggi una delle testimonianze più preziose e drammatiche di una delle pagine più buie della nostra storia.
Il percorso espositivo è stato aperto ieri sera, 21 gennaio, a Monfalcone negli spazi del secondo piano del Palazzetto Veneto di via Sant’Ambrogio 12 e rimarrà aperto fino al 31 gennaio dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18.30 e il sabato e la domenica dalle 10 alle 12. A organizzare l’evento l’Anpi di Monfalcone e l’Aned di Ronchi dei Legionari.
Una serie di testimonianze e di ricerche condotte da Metka Gombač, Boris M. Gombač e Dario Mattiussi. Proprio Mattiussi ha esposto il lavoro di ricerca e la necessità di un racconto su un tema ancora così poco raccontato. Di fatto, “la deportazione dei civili sloveni ci colpisce forse ancora più da vicino poiché molti dei campi di concentramento che ospitarono donne, anziani e bambini deportati sia dalle zone d’occupazione militare sia dal nostro territorio, sono luoghi che conosciamo ed in cui tutti noi ci siamo trovati, probabilmente senza immaginare che fossero stati teatro di tante sofferenze”, così Mattiussi.
La mostra è stata presentata, negli ultimi anni, in diverse località della regione e a Roma, in Slovenia, in Austria. Essa ha dato inoltre spunto ad ulteriori ricerche presentate nei volumi “Trpljenje otrok v vojni” (La sofferenza dei bambini in guerra) di Metka Gombač e Boris M. Gombač e “Dietro il cortile di casa – le deportazioni dei civili sloveni nei campi dio concentramento italiani al confine orientale” di Metka Gombač, Boris M. Gombač e Dario Mattiussi.
Ieri, in particolare, la professoressa Manuela Musina ha ribadito come “la storia non è un arsenale di armi da brandire contro gli altri ma uno studio ragionato sulle fonti e sulla veridicità del racconto”. “Storia – ha ribadito Musina – è apertura mentale anche nell’accogliere informazioni che non piacciono o non ci si aspettava”.
A portare il saluto dell’amministrazione l’assessore Sabina Cauci: “Osservando la mostra mi sono soffermata sui numeri dei bambini che non sono tornati a casa dai campi di concentramento, soprattutto di Gonars, circa un migliaio e proprio oggi le stime dicono che nel conflitto russo-ucraino abbiano perso la vita 942 bambini, una strage molto simile”, ha concluso Cauci.
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