Il giovane Claudio deportato e mai più tornato a Gorizia, medaglia alla famiglia

Il giovane Claudio deportato e mai più tornato a Gorizia, medaglia alla famiglia

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Il giovane Claudio deportato e mai più tornato a Gorizia, medaglia alla famiglia

Di Daniele Tibaldi • Pubblicato il 14 Feb 2024
Copertina per Il giovane Claudio deportato e mai più tornato a Gorizia, medaglia alla famiglia

Loria, un soldato di leva dell’XI reggimento Genio, venne prelevato in casa dai titini. Oggi la consegna della medaglia del Quirinale ai suoi famigliari.

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Vennero a prendere Claudio Loria direttamente a casa, in via Parcar, nel quartiere di Borgo San Rocco, il 6 maggio del 1945. Non era passata neanche una settimana da quando le truppe jugoslave, al comando del maresciallo Tito, avevano liberato Gorizia dai nazifascisti. Giorni di festa per i tanti che avevano subìto per un ventennio l’oppressione di un regime che aveva trascinato l’intero Paese, al fianco della Germania nazista, nella guerra più atroce di sempre. Ma per molti altri, quei 43 giorni – che si sarebbero conclusi solo il 12 giugno, con l’ingresso in città delle truppe angloamericane – furono vissuti con terrore, per via della resa dei conti che li avrebbe esposti alla violenta rappresaglia dei vincitori contro gli sconfitti.

Loria – soldato di leva dell’XI reggimento Genio dell’esercito italiano fino all'armistizio del '43, quando si arruolò nel IV reggimento della Milizia difesa territoriale – avrebbe compiuto 23 anni solo un mese più tardi. «Era giovane, di animo combattente, valoroso e incosciente», il ricordo della pronipote Martina Bosco durante la cerimonia svoltasi questo pomeriggio in Prefettura per la consegna della medaglia e del diploma in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. «Pensava di essere nel giusto e credeva fortemente nell’ideale di una Gorizia italiana», aggiunge sempre Bosco, mostrando una fotografia che ritrae il suo prozio a Gorizia, in abiti civili, al fianco di un commilitone.

Ma quella che indossava con orgoglio era la divisa di coloro che la Storia aveva sancito essere dalla “parte sbagliata”. Dopo l’arresto, sarebbe stato deportato in Jugoslavia il 12 maggio e di lui, come per migliaia di altri italiani e collaborazionisti sloveni e croati, non si ebbero più notizie. Molto probabilmente fu infoibato, cioè sommariamente giustiziato e gettato in una delle tante foibe di cui è cosparso il Carso, usate per secoli come discariche naturali o, alla bisogna, come fosse comuni.

Un destino diverso da quello del fratello, Benito, che l’8 settembre del 1943 indossava la divisa della Marina militare. Benito – il nonno di Martina e della sorella maggiore, Francesca – quel giorno preferì consegnare le armi ai nazisti, pur di non continuare a combattere, finendo internato in uno dei campi di lavoro del Terzo Reich. «Lui sopravvisse alla guerra – ha aggiunto Francesca – ma non ci raccontò mai molto riguardo quegli anni, come se fosse un tabù».

Per il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, «la giornata del Ricordo ha come suo vero scopo il riconoscimento di un gesto di eroismo inconsapevole: a quell’età non si imbraccia un fucile per odio, ma per amore». Età che Ziberna ricorda essere vicina a quella di Norma Cossetto, quando fu barbaramente assassinata in Istria dai partigiani titini nel 1943: «Molti ci ricordano l’importanza della contestualizzazione. Bene, ma non si può essere uccisi a 23 anni, anche se fascisti».

Un invito, quello del sindaco, «a ricordare perché gli orrori non si ripetano più; anche nell’uso delle parole, perché generano odio». Il riferimento è al dibattito generatosi sui social e non solo a seguito dell’inaugurazione della targa per Cossetto al liceo classico di Gorizia. «Si potrà uscire dalla spirale d’odio solo quando impareremo a rispettare la memoria di tutti», la chiosa finale di Ziberna.

Concetto ribadito anche dall’assessore regionale alla Funzione pubblica Sebastiano Callari: «Tutti i negazionismi ci portano fuori dall’Europa solidale di oggi. Un’Europa che è stata costruita proprio partendo dalle macerie del secondo conflitto mondiale: è fondamentale riconoscere tutti gli errori commessi nel passato perché l’Europa del futuro sia migliore».

Alla cerimonia, introdotta dal prefetto di Gorizia Raffaele Ricciardi, hanno partecipato anche consigliere regionale Diego Bernardis, il questore, il comandante provinciale della Guardia di finanza, rappresentanti dell’Arma dei carabinieri, dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, del Comitato congiunti deportati in Jugoslavia, della Lega nazionale e della comunità slovena.

Il prefetto, che venerdì scorso aveva partecipato alla cerimonia nazionale svoltasi al Quirinale, è rimasto molto colpito dal clima d’unione riscontrato a Roma. «Di particolare ispirazione – ha affermato Ricciardi – sono state le parole del presidente Sergio Mattarella dedicate a Gorizia, dove non ci sono più muri, ma si costruiscono strade e ponti per connettere le due comunità al confine, come comprovato dal conferimento alle città di Nova Gorica e Gorizia del titolo di Capitale europea della cultura 2025».

Foto Tibaldi

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