La serata
Gato Barbieri e Pierpaolo Pasolini, martedì l'incontro al Kinemax

Un’occasione per incontrare l’autore Polinelli e assistere alla proiezione di 'Appunti per un’Orestiade'.
Le sue note accompagnano la panoramica sui tetti della Ville Lumière, narrando il fascino della città che s’apre innanzi a Marlon Brando mentre lui sta morendo. Da un lato il sassofono chiude “L’ultimo tango a Parigi” (1972) di Bertolucci, dall’altra racconta i mille volti del Continente Nero nel documentario “Appunti per un’Orestiade africana” (1975), in un serrato intreccio con la voce narrante di Pierpaolo Pasolini. Si terrà martedì 3 dicembre presso il Kinemax di Gorizia - alle ore 20 - l’incontro con Andrea Polinelli, autore del testo “Gato Barbieri. Una biografia dall’Italia tra jazz, pop e cinema” (2023). Un libro e un film come ghiotta occasione per celebrare il ventennale del concerto del celebre “El Gato”, che il 28 marzo del 2004 si esibì al Teatro Verdi del capoluogo isontino. «È un omaggio che abbiamo pensato per l’artista argentino in concomitanza del XX anniversario del concerto che tenne a Gorizia – spiega Silvio Celli che modererà la serata – L’idea è quella di rievocare quel momento in onore di questo sassofonista».
Organizzata dalla Mediateca provinciale insieme al circolo Controtempo, che ogni anno propone il “Jazz&Wine of peace festival”, la soirée intende ricordare «colui che ha rappresentato un punto di svolta a ridosso degli anni Sessanta e Settanta, nella cultura musicale europea ed italiana». Scrittore e ricercatore, Polinelli è anche sassofonista del quartetto insieme a Marcello Tirelli, Simone ‘Ndaye e Raul Scebba, con i quali il 9 dicembre si esibirà nel “Gato Barbiere Reloaded” al teatro Regina Margherita di Marcialla. Nel suo libro si fa esplicito riferimento al concerto del 2004, che venne organizzato dal comune di Gorizia con il supporto di Controtempo. «Tutti conoscono Gato Barbieri come l’autore della colonna sonora di “Ultimo tango a Parigi” – rimarca Celli – Però i suoi rapporti col cinema sono più lontani, cominciando addirittura in Argentina». È l’alba di un settembre del 1962, quando il transatlantico “Salta” si allontana da Buenos Aires portando con sé El Gato (Leandro), sua moglie Michelle e la piccola Rochelle. Alla ricerca di fortuna in Europa, Gato abbandona un continente che gli ha concesso un vastissimo bagaglio di esperienze con i musicisti più quotati della capitale, per approdare così in Italia. «Michelle disse che non c’era più posto per me a Buenos Aires – racconta Gato nel lavoro di Polinelli – Suggerì Roma perché suo padre, un famoso giornalista italiano, poteva contare su un po’ di conoscenze, soprattutto nell’ambiente del cinema. Così venimmo, ma non ci aspettava nessuno». In realtà ad attenderlo c’era Gianni Amico, che durante un viaggio in Argentina nel 1960 aveva ascoltato Gato rimanendone folgorato.
Grazie a Gianni El Gato entra in contatto con Gino Paoli e il regista Bernardo Bertolucci, per il quale lavora alle musiche di “Prima della rivoluzione” (1964) e, anni dopo, al celebre “Ultimo tango a Parigi”. «Considerando quest’incontro fra musica e cinema, abbiamo voluto dedicare una serata a Gato Barbieri» precisa Celli. Dal mondo del cinema a quello dei grandi cantautori, dove Leandro collabora con Pino Daniele – per il quale suona il sax in “Chi tène o’ mare” nell’album “Sciò” - o nell’assolo live di “Modena” di Antonello Venditti. Un doppio omaggio, con una serata in cui sarà possibile dialogare con Polinelli e poi gustare la proiezione degli “appunti” pasoliniani. «La pellicola è un resoconto di più viaggi compiuti da Pasolini nell’arco di alcuni mesi – specifica Celli – Alla ricerca di ambientazioni e personaggi per un’ipotetica messa in scena dell’”Orestiade” di Eschilo». Un film che non vide mai la luce a causa delle difficoltà di reperire un produttore per quest’opera complessa da ambientare in Africa. «Dal punto di vista commerciale sarebbe stato probabilmente un disastro – ipotizza – Però questa pellicola venne presentata alle Giornate del cinema di Venezia nel 1973 in una sezione minore, e purtroppo due anni dopo – nel novembre del 1975 – dopo la morte di Pasolini». Oggi possiamo apprezzare “gli appunti” nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna nel 2009. Un piccolo gioiello di 65 minuti suddiviso in tre parti, nella cui sezione centrale compare l’intervento musicale del trio di Gato, che suona dal vivo nel Folkstudio insieme a Marcello Melis e Donald Moye per esibirsi in un brano di free jazz. «Un locale che divenne famoso – ricorda Celli – perché lì si formarono cantautori italiani come Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Mimmo Locasciulli e tanti altri.
L’intero film è costellato da musiche di Gato, insieme a canti popolari ripresi dalla tradizione russa, in quanto erano gli anni del terzomondismo». Fresco di pubblicazione dell’album “The Third World”, l’operazione di Barbieri viene assimilata da Pasolini, che ci mostra un’Africa primigenia e incontaminata. «Pasolini non aveva avuto prima d’allora contatti col jazz. Come ricorda Roberto Calabretto, nella sua discoteca personale mancavano dischi di jazz. C’era Bach, Mozart, tanta musica classica e canti popolari, ma null’altro». Sarà dall’incontro con Gato che scaturirà il nuovo magma pasoliniano, con musiche che si adattano alla perfezione al progetto del film. «Infatti, s’intitola “Appunti per un’Orestiade africana”, dove la forma stessa degli appunti è molto praticata dal regista. Che poco prima aveva girato “Appunti per un film sull’India” e nel 1963 aveva svolto “Sopralluoghi” in Palestina per “Il vangelo secondo Matteo”. Come in una sorta di saggio, dove anziché usare la penna o la macchina da scrivere Pasolini utilizza la macchina da presa in sedici millimetri, molto agile e da mettere in spalla».
«Gato ha composto diverse colonne sonore importanti – ribadisce l’autore Polinelli – la più celebre è “Ultimo tango a Parigi” per Bertolucci. Però due anni prima si era relazionato con Pasolini, presentatogli da Gianni Amico. Gato non è un compositore “normale” come Morricone o Piovani, lui è un jazzista che improvvisa. In questo ruolo Pasolini lo convoca nel 1970 insieme a Marcello Melis al contrabbasso e al batterista Don Moye. Poi c’erano la cantante americana Yvonne Murray e Archie Savage – che però in origine era coreografo e danzatore – Per il regista è stato un momento di improvvisazione libera, con l’idea che l’approccio improvvisativo fosse propria delle diverse comunità “terzomondiste”. Nel film la musica di Gato è l’unica presa dal vivo nel locale, mentre le altre sono di repertorio: cori russi, musiche etniche, alle quali Pasolini aggiunge le immagini filmate in Africa». Anni in cui Leandro era reduce delle esperienze con i musicisti creativi newyorkesi. A New York aveva inciso un disco con Charlie Hayden – uno dei rari musicisti comunisti statunitensi – e suonato nell’orchestra di Carla Bley. «Nel 1979 aveva già inciso il primo disco della serie, che maggiormente rappresenta la sintesi sonora fra il jazz e la musica etnica e dell’America Latina. Aveva già tutto questo bagaglio alle spalle», evidenzia l’autore traversando le strade di Roma, poco prima di esibirsi alla Casa del Jazz. Nato a Genova nel 1958, Polinelli si diploma in sassofono e insegna presso diversi conservatori, con collaborazioni fra Stati Uniti Africa e Brasile e lavori in ambito cinematografico. «Quando ho iniziato non c’erano altre biografie disponibili – prosegue – Spero che sia un contributo utile alla documentazione sul jazz italiano», auspica. Una pietra miliare con la chicca dell’ampio capitolo dedicato a Bertolucci, Pasolini, Ferreri, Amico e gli altri protagonisti del mondo del cinema. Cinque anni e mezzo di ricerche sfociate in questa biografia edita da Artdigiland, che Polinelli presenterà martedì durante la serata a ingresso gratuito.
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