Francesco Pannofino con Chi è io? a Monfalcone, «uno strano show in testa»

Francesco Pannofino con Chi è io? a Monfalcone, «uno strano show in testa»

l'intervista

Francesco Pannofino con Chi è io? a Monfalcone, «uno strano show in testa»

Di Francesca Rachele Galioto • Pubblicato il 13 Mar 2024
Copertina per Francesco Pannofino con Chi è io? a Monfalcone, «uno strano show in testa»

Sabato e domenica l'appuntamento a teatro, sul palco il celebre doppiattore e attore: «Bisogna dare emozioni al pubblico altrimenti è meglio non fare nulla».

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Il palcoscenico del Teatro Comunale Marlena Bonezzi di Monfalcone si prepara a ospitare un evento teatrale straordinario. Sabato 16 e domenica 17 marzo alle ore 20.45, il pubblico avrà l'opportunità di assistere a "Chi è io?", una commedia teatrale divertente, metafisica e psicologica che agisce su spettatori, pazienti, personaggi, presentatori e terapeuti, e di incontrare alle 20 gli attori. Scritto e diretto da Angelo Longoni e prodotto da Nuovo Teatro sotto la guida di Marco Balsamo.

Tra gli interpreti principali spicca Francesco Pannofino, noto soprattutto per il suo lavoro di doppiaggio, prestando la voce a numerosi attori come George Clooney, Denzel Washington e Kevin Spacey. Ha interpretato anche il regista René Ferretti nella celebre serie tv Boris. La sua voce ci farà da guida in questo spettacolo e in questa intervista.

Qual è il concetto principale che "Chi è io?” cerca di esplorare?
È un viaggio attraverso la mente di un uomo che si trova in pericolo di vita per soccorrere una persona che stava annegando. In quel momento, si usa dire che uno ripercorre in pochissimi istanti tutte le immagini più importanti della nostra vita e questo succede nello spettacolo. All’inizio parte con il tentativo di salvare una persona che sta annegando in mare agitato e poi troviamo Leo Mayer, lo psichiatra protagonista dello spettacolo, che rivive le sue sedute con i suoi pazienti. Poi si trova all’interno di uno strano show che lui immagina nella sua mente. Questo, diciamo, è una parodia della televisione un po’ spazzatura che si usa vedere spesso e volentieri. Tutto questo serve a conoscere meglio noi stessi perché si provano diverse emozioni. Quando fai uno spettacolo, un film o qualunque cosa destinata al pubblico, bisogna che gli dai emozioni, se no è meglio non farla.

Come ti sei preparato per interpretare Leo Mayer? Quali sfide hai affrontato durante la preparazione?
La sfida più grande è stata il tempo che non avevo, perché ero in scena con il precedente spettacolo che era 'Mine Vaganti', tenuto in scena per quattro anni. Poi Angelo Longoni ha scritto questo testo che ho sottoposto al mio impresario Marco Balsamo. Ci siamo trovati d’accordo che valeva la pena metterlo in scena, e poi dopo tra il dire e il fare ci sono stati di mezzo due anni. Ho continuato con le repliche di 'Mine Vaganti' e poi è arrivato il momento di metterlo in scena.

Io ero in tournée, quindi diciamo che gli altri attori, che sono mia moglie Emanuela Rossi, Eleonora Ivone la moglie di Angelo Longoni e mio figlio Andrea Pannofino, si sono messi a provare lo spettacolo. Abbiamo fatto una cosa in famiglia che ha i suoi vantaggi perché c’è un’energia particolare che si sprigiona fra tutti e quattro. Io sono arrivato le ultime due settimane di full immersion e sono riuscito a portare a casa questo spettacolo. Abbiamo debuttato a Caserta dove abbiamo anche fatto l’allestimento e poi adesso siamo in giro per l’Italia e veniamo anche a Monfalcone...

Beh, è d’obbligo!

Io da quelle parti ci sto bene, avevo più o meno vent’anni quando sono stato scritturato dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, quindi sono stato a Trieste per nove mesi e conosco benissimo Monfalcone, ci sono già venuto allora. Poi ci sono ritornato al Teatro Comunale che all’epoca non era ancora stato nominato “Marlena Bonezzi”, e sono sempre stato accolto benissimo.

La tournée è iniziata da un po', e come è stata la reazione del pubblico durante le prime rappresentazioni teatrali?
È stata bellissima perché il pubblico sta molto attento. Poi ci sono dei momenti di ilarità, dei paradossi di testo nei conflitti tra i personaggi, e alla fine veramente scroscia un applauso lunghissimo. Il pubblico reagisce bene e questa è la cosa più importante quando fai teatro, non c’è niente di peggio che avere la sensazione che il pubblico si stia annoiando o non stia capendo, ma per fortuna questo non succede. Poi dopo 50 anni di teatro ormai il pubblico lo sento, anche se non lo vedo perché non ho gli occhiali riesco a sentirlo, ma non solo quando applaude, lo sento proprio se sta attento, se sta capendo.

Cosa ti auguri che il pubblico porti con sé dopo aver visto la tua performance e lo spettacolo in se? Quale messaggio speri che trasmetta?
Intanto spero che faccia riflettere ed emozionare e che serva quanto meno a conoscere meglio noi stessi che è una delle cose più difficili della vita. Per conoscere se stessi bisogna approfondire, andare in fondo, non avere paura di ammettere i propri difetti, i propri limiti. Non è facile, non tutti ci riescono.

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