DAL FESTIVAL
Farian Sabahi torna a èStoria, la Teheran degli anni Venti rivive nelle sue letture

La giornalista e orientalista dell’Università dell’Insubria è tornata a raccontare l’Iran attraverso i passaggi del volume ‘Alla corte dello scià’.
A spasso per Teheran in compagnia di un giovane laureato senza lavoro, che sbarca il lunario mostrando la città a una manciata di turisti coraggiosi. Questo, il racconto che avrebbe dovuto essere letto per èStoria 2025 dalla giornalista e orientalista dell’università dell’Insubria Farian Sabahi. Che infine ha optato per la lettura di alcune pagine del volume “Alla corte dello Scià. Il mio viaggio in Persia in occasione dell’incoronazione di Reza Shah Pahlavi” del diplomatico polacco Thaddée de Skowrónski. Del quale ha scritto il saggio introduttivo traducendo in lingua italiana il diario di viaggio, in via di pubblicazione per la casa editrice Ibis.
«Il testo che avrei dovuto leggere non mi convinceva – spiega l’autrice – perché a Teheran in questo momento non ci sono turisti. L’Iran sta portando avanti negoziati con la Casa Bianca, ma il presidente Trump ha promesso una politica di massima pressione per azzerare il programma nucleare iraniano. Mentre avrebbe diritto a svilupparla, perché ha firmato il Trattato di non proliferazione».
Le pagine sono state presentate in anteprima nella sala Dora Bassi nel pomeriggio di ieri, giovedì 29 maggio, attraverso una lunga lettura che ha mostrato i fasti della Teheran anni Venti. Un viaggio a ritroso nella storia di un Paese in cui oggi oltre metà della popolazione ha un’età media al di sotto dei 35 anni, e nutre sogni di libertà inconciliabili con la discriminazione femminile o il malcontento generale. «A Gorizia avevo già presentato “Noi donne di Teheran” – prosegue – mentre stavolta volevo offrire uno spaccato meno banale della città».
Dalle montagne bianche che si stagliano all’orizzonte inizia a delinearsi una città dal fascino magico e ammaliante, anticipata nel miraggio di un lago «tagliato da un gruppo d’alberi». Sono le quattro del pomeriggio quando il conducente indica in lontananza la città, le cui vie sono delimitate da due file d’alberi «dal profumo penetrante». Il diplomatico si dirige verso la legazione dove avrebbe alloggiato, infine abbandonandosi a un profondo sonno. Al risveglio l’aiutante lo trascina nella sua stanza per mostrargli un velenoso scorpione. Ma a colpirlo più di tutto sarà il panorama mozzafiato che potrà ammirare dalle finestre della camera, tanto simile a un paesaggio svizzero. Ad accoglierlo, una città «dall’aspetto festoso», in cui il fasto dell’Oriente si mescola alla poesia e dove agli incroci delle strade le torri sono ricoperte di lampadari e lampade al petrolio.
E mentre «gli usignoli facevano sentire il loro canto dai cespugli» cresce l’attesa per l’incoronazione dello scià Reza, moltiplicandosi fino alla descrizione della sfilata da parte degli alti dignitari. «Davanti a noi passò l’ambasciatore sovietico – procede Sabahi nella lettura – poi ci raggiunse il Ministro del Belgio». Dalle sale rivestite a specchio agli schiavi con i berretti dorati si passa a descrivere il trono dello Scià, agli occhi dell’autore autentica «profusione di pietre preziose», legato alla storia sanguinosa di uno smeraldo rubato da uno schiavo. Indugiando a tratteggiare lo Scià, ci viene restituito «un uomo ancora giovane con uno sfregio sulla guancia», seguito da un funzionario di corte con sciabole e altre armi sfavillanti d’oro e turchesi.
Dopo la lettura del proprio discorso da parte del primo ministro, è lo stesso sovrano a incoronarsi. «Reza Shah prese la corona dal cuscino e se la posò sulla testa», prosegue Sabahi. Il colore dei caftani si mescola con quello delle uniformi, mentre 21 colpi di cannone annunciano l’arrivo del potente al palazzo. «Avevo finalmente visto un re in una carrozza di cristallo». Un paragone che fa sbiadire l’incoronazione del re d’Italia cui aveva assistito anni prima, secondo le parole di de Skowrónski «quasi una delusione».
Un quadro luccicante in contrasto con la realtà contemporanea e l’odierno ritorno del governo Trump. Impegnato fino a pochi mesi fa a opporsi alle milizie filoiraniane che appoggiano Hamas e oggi vicino a un accordo sul nucleare in Iran. L’influenza statunitense iniziò a farsi sentire ad alta voce nel lontano 1953, quando i servizi segreti americani e britannici organizzarono il colpo di stato che portò a spodestare Mohammed Mossadeq, il primo ministro eletto democraticamente che tentava di nazionalizzare l’industria petrolifera del Paese. Fu dall’anno seguente che gli iraniani strinsero un accordo con gli Stati Uniti per lo sviluppo del nucleare, gettando le basi di un’industria oggi sotto le mire di Benyamin Netanyahu per un ipotetico piano d’attacco. Schiacciata fra le politiche tariffarie americane e la difficoltà di far quadrare i conti pubblici, l’Iran guidata dal presidente Masoud Pezeshkian si ritrova innanzi a un bivio. Sempre più legata al destino della guerra in Medioriente e inerme innanzi all’armamentari israeliano.
Foto Facebook / Associazione èStoria
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