Falchi e cani alla corte dei Coronini, Gorizia riscopre gli animali della nobiltà

Falchi e cani alla corte dei Coronini, Gorizia riscopre gli animali della nobiltà

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Falchi e cani alla corte dei Coronini, Gorizia riscopre gli animali della nobiltà

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 02 Lug 2021
Copertina per Falchi e cani alla corte dei Coronini, Gorizia riscopre gli animali della nobiltà

Opere d'arte e artigianato tra le stanze della villa e le scuderie. In città nacque una delle società di caccia più famose in Europa.

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L’amore per gli amici a quattro zampe è un qualcosa che ha radici ben radicate nel tempo. Se oggigiorno il mercato del pet food vale solo in Italia ben 2 miliardi di euro, è invece incalcolabile l’ammontare dell’arte a loro dedicata nel corso dei secoli. Parte da qui il nuovo percorso espositivo a Palazzo Coronini-Cronberg, che porta a Gorizia un vero e proprio viaggio negli “Animali della nobiltà”, in tutte le sue sfumature: dalla caccia allo status symbol, passando per le allegorie e i significati religiosi ed esoterici. La mostra, che si estende dalla dimora fino alle scuderie, sarà aperta ufficialmente da domani fino al 9 gennaio 2022.

Sono circa 200 le opere esposte tra quadri, gioielli, oggetti di artigianato e armi. È un vero e proprio tuffo nel passato, analizzato con una chiave di lettura insolita, ma che indaga nel profondo il rapporto tra gli uomini dell’epoca con la natura che li attorniava. Dal Cinquecento fino all’Ottocento, è così possibile scoprire le diverse inclinazioni dell’aristocrazia locale e non solo verso il regno animale, a partire dalle superstizioni in voga. Una su tutte, quella legata ai gatti, che compaiono solo in un dipinto esposto poiché per lungo tempo considerati simbolo del demonio. Diverso discorso riguarda esemplari ben più esotici, come pappagalli e scimmie.

Se l’unica opera raffigurante un micio è “L’autoritratto nello studio” di Ippolito Caffi, del 1841, molte altre invece presentano animali ben poco autoctoni in Europa. Come evidenziato dalla curatrice Cristina Bragaglia Venuti, questi erano però ben più comuni di quanto oggi si possa pensare, anche perché ritenuti i più simili all’uomo per la capacità di imitare la lingua e le forme antropomorfe. Alcuni dipinti, come il “Capo di soldati e ciarlatani” di Alessandro Magnasco (1700), mostrano chiaramente che anche i ceti più popolari potevano possedere delle scimmie. Queste, peraltro, potevano rappresentare uno status sociale elevato in alcuni contesti.

Ci sono poi gli animali “umanizzati”, come quelli protagonisti dei capolavori di Antonio Paroli (Il consulto medico) e Leonard Schenck (Scimmie e gatti dal barbiere). Molti elementi esposti, poi, sono dedicati al tema della caccia, in particolare quella al falcone, che nel Cinquecento fu una delle attività più praticate dalla nobiltà, tanto che proprio nella Gorizia settecentesca nacque la Società di Diana. A darle origine, furono alcuni membri delle famiglie Coronini, Porcia e Attems, la cui fama crebbe a tal punto da invitarvi anche Ferdinando di Borbone, re delle Due Sicilie, che nella seconda metà del secolo venne in città per alcune battute.

Il sodalizio venne sciolto dall’Imperatore d’Austria all’inizio dell’Ottocento, quando questa pratica era ormai considerata desueta. Grazie a questo passatempo, però, oggi abbiamo delle opere significative, come le fiasche per portare la polvere da sparo intagliati nei corni di cervo, stambecco o fatti in rame o cuoio bollito. Ci sono poi armi innovative per l’epoca, come quella inventata da Arturo Coronini e usata contro gli uccelli d’acqua. Anche la cucina ha avuto le sue influenze, come ben testimonia il calice a forma di testa di cane della manifattura Sazikov di San Pietroburgo, realizzato nel 1851 e caratterizzato dagli incredibili dettagli.

Nelle scuderie, infine, si trovano alcune primizie. Su tutte, il quadro di Lucas Cranach il Vecchio, “Diana e le ninfe al bagno sorprese da Atteone” (1550 circa, nella foto), uno dei più belli presenti nella Galleria nazionale d’arte antica di Trieste. Ci sono poi due bottoni che furono della principessa Sissi, donati dalle sue figlie dopo la morte alla famiglia Coronini e trasformati in gioielli con l’effige del delfino, simbolo scelto dalla stessa nobile per la sua residenza a Corfù. Chiude il cerchio la passione per le corse ippiche, che dal Regno Unito si sono presto sparse in tutto il Vecchio continente e non solo, dando vita a immagini ancora oggi suggestive.

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