Europeana, l’opera di Lino Guanciale tra storia e politica fa sold out al Verdi

Europeana, l’opera di Lino Guanciale tra storia e politica fa sold out al Verdi

Lo spettacolo

Europeana, l’opera di Lino Guanciale tra storia e politica fa sold out al Verdi

Di Lisa Duso • Pubblicato il 14 Gen 2023
Copertina per Europeana, l’opera di Lino Guanciale tra storia e politica fa sold out al Verdi

Affiancato dal fisarmonicista sloveno Marko Hatlak e il suo intelligente e divertito contrappunto musicale, Guanciale ha fatto sold out al Verdi rapendo per oltre un'ora il pubblico presente in sala.

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“La democrazia non ha memoria” recita sotto i riflettori del palco del teatro Verdi di Gorizia l’attore abruzzese Lino Guanciale, che sembra riprendere a pieno la teoria del politologo Francis Fukuyama di “fine della storia”, teorizzata nel 1992 nel saggio La fine della storia e l'ultimo uomo, nel quale vengono esaltati la democrazia liberale e il capitalismo come momento d’arrivo ultimo di una storia umana che recide i legami con il proprio passato.

Europeana, composta dallo scrittore praghese Patrik Ourednik, è un racconto che attraversa la storia novecentesca: dalle grandi guerre alla piena rivoluzione tecnologica, dalle teorie sulle razze ai mutamenti delle dinamiche sociali, tessendo una trama di finissimi fili della storia contemporanea, il cui intreccio ha portato al culmine di essa nell’ascesa della forma di stato liberale - dominante nella società occidentale - e al predominio del modello economico capitalista. Affiancato dal fisarmonicista sloveno Marko Hatlak e il suo intelligente e divertito contrappunto musicale, Guanciale ha fatto sold out al Verdi rapendo per oltre un'ora il pubblico presente in sala. 

Fulcro del discorso è la memoria, il ricordo storico che viene a sfumare con l’avvento della tecnologia e di internet in particolare: “I computer sono un segno premonitore di un sistema senza memoria”, recita Lino Guanciale. Una concezione paradossale in una società in cui tutto è registrato, scritto, classificato e nella quale la conoscenza è a distanza di una semplice ricerca sul web. Ma è la stessa facilità dell’accesso alla cultura che ne comporta una inevitabile svalutazione, in un mondo in cui il cittadino non deve essere necessariamente consapevole del proprio sé e delle proprie radici, ma deve essere primariamente essere produttivo.

La memoria, legata alla ragione, è ciò che unisce tra loro i cicli storici: mezzo attraverso il quale si è in grado, a posteriori, di individuare il ripetersi degli avvenimenti, caratterizzati dai medesimi impulsi puramente umani. Lo mette in evidenza il politologo americano Graham Allison, che ritrova nella storia il ripetersi della stessa meccanica - da lui intitolata “trappola tucididea” - in tutti i grandi scontri bellici, dal conflitto tra Atene e Sparta a quello tra Cina e Stati Uniti.

Ma la storia contemporanea avrebbe invece, secondo la trama sostenuta nello spettacolo, una peculiarità intrinseca: la fine di un moto ciclico e l’avvento di un’era nuova, un taglio netto con un passato che ha visto il suo declino con la rivoluzione industriale prima, le guerre mondiali poi, e la vittoria americana contro il regime sovietico che ha determinato - negli anni Novanta del Novecento - un mondo egemonicamente unipolare. Arriva pertanto il compimento della democrazia liberale e del capitalismo, un’era di benessere dell’uomo, nella quale, secondo le parole di Ourednik: “il comfort caratterizza la vita del cittadino, cui primaria caratteristica è l’essere un consumatore”.

L’agio è dunque legato in modo connaturato ad un meccanismo di produttività estrema, che non lascia realmente il tempo per godere delle comodità che offre. Si modifica così la stessa concezione del tempo: come spiega Lino Guanciale - che rimane l’unico soggetto illuminato sulla scena - si è delineato un percorso volto ad una crescente apatia verso il tempo, in un mondo che corre proteso ad un miglioramento costante, nella direzione di un’idealizzazione di sé stesso. L’ininterrotta produttività uccide il tempo libero, la bellezza dello svago e delle passioni senza un fine materialmente utile.

Così l’uomo, che diventa quasi automatizzato nel suo essere e divenire, sembra ignorare ciò che può andare al di là del mondo colmo di opportunità e benessere in cui vive. Spesso sottovalutando che anche una democrazia impone una propria ideologia, mentre l’eccesso di informazioni e l’apparenza delle più ampie possibilità rende molte volte ignavi anche di fronte ai soprusi, pur sempre perpetrati anche se in modo più subdolo.

Così, nell’ultimo atto teatrale, l’attore abruzzese, dopo aver indossata una dopo l’altra durante lo spettacolo diverse magliette rappresentative di tutto ciò che ha caratterizzato la storia del Novecento, inizia a spogliarsene, una ad una, sostituendole con un’unica, esplicativa maglietta bianca, con su scritto “Enjoy Capitalism”.  

Foto Pierluigi Bumbaca/Area12.

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