Alessandro Vanoli porta la storia dell'Occidente a Gorizia, «ecco chi l'ha inventato»

Alessandro Vanoli porta la storia dell'Occidente a Gorizia, «ecco chi l'ha inventato»

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Alessandro Vanoli porta la storia dell'Occidente a Gorizia, «ecco chi l'ha inventato»

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 23 Mag 2024
Copertina per Alessandro Vanoli porta la storia dell'Occidente a Gorizia, «ecco chi l'ha inventato»

Lo storico e scrittore sarà ospite domani mattina nella Sala Storica dell’Ugg, raccontando le radici del termine e ciò che oggi rappresenta.

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C’è un momento della storia dell’uomo in cui si è iniziato a parlare di Occidente. Un termine che oggi assume tante sfumature a seconda di chi lo pronuncia e da cosa si indica. A tracciarne l’origine è Alessandro Vanoli, ospite della seconda giornata del Festival èStoria in programma domani, venerdì 24 maggio, alle 10.30. Nella Sala Storica dell’Ugg, lo storico presenterà il suo libro ‘L’invenzione dell’Occidente’ (Laterza 2024), partendo dal trattato tra Spagna e Portogallo che divideva il mondo in due nel 1494.

«Quando uso il termine invenzione - spiega lo stesso autore - è in senso storiografico e tecnico. C’è la costruzione di una serie di elementi di carattere sociale, non significa che nasce qualcosa fuori dalla realtà ma ci sono elementi reali. Troppo spesso oggi si sente l’uso di questo termine occidente come reazione identitaria, nel tempo ha riavuto la sua importanza in positivo e negativo. Si usa come bandiera per conquiste sociali, libertà e diritti. Dall’altra parte, chi sono coloro che usano questa parola come contraltare a ciò che invece vorrebbero».

Se è vero che oggi è difficile tracciare una mappa precisa, Vanoli ha quindi voluto «capire come siamo arrivati qui. Ci sono pezzi in tutto il mondo che potremmo rivendicare con questo termine». Ancora prima di quell’accordo internazionale, avvenuto nella piccola Tordesillas in Castiglia, esisteva già l’idea di Europa e anche questa, oggigiorno, si perde nelle definizioni e connotazione. «Fare la storia dell’Occidente - spiega - è scoprire che le due storie sono andate di pari passo». Inevitabile quindi che i termini si mescolino in tanti punti.

Se «da una parte si guarda all’Atlantico come spazio pensabile e conquistabile», dall’altra «l’Europa assume una concreta dimensione attuale, uno spazio di un sé stesso anche politico». È anche una rapporto di conflitto, in particolare nella contrapposizione medievale tra l’Europa cristiana e l’arrivo degli arabi dal Mediterraneo: «La storia dell’Occidente in sé è fortemente imperiale. In questo formarsi della parola, c’è in sottotraccia il richiamo a uno scontro con un mondo orientale. Nell’impero inglese questo è evidente».

Guardando ancora più indietro nel tempo, «già nei Greci nel V secolo a.C. si intravedeva una frattura identitaria. Successivamente, possiamo dire che nella conflittualità tra musulmani e cristiani c’è uno dei tanti tasselli su cui si poggerà la costruzione dell’occidente». In questo alternarsi di scontri e incontri, che da chiedersi però se sia stato l’Occidente a conquistare, o se sia stato a sua volta conquistato da altri angoli del globo, che fino alla Seconda guerra mondiale approvano ben distanti dal suo concetto geografico e politico.

«Non si può più stringere questa parola in un senso geografico - precisa l’ospite - è ciò testimonia che la parola si sta decomponendo e mostra la sua fine. Fino all’inizio dell’Ottocento, l’Occidente è un grosso spazio geografico e imperiale». Questa perdita geografica, quindi, «è simbolo della globalizzazione. Ho la vaga sensazione che sia com’è stato per i Romani con i Greci: i primi conquistarono gli altri, ma furono loro a essere conquistati culturalmente. Nella pluralità della nostra contemporaneità, nessuno è più riconducibile a una sola unità».

«Forse la nostra storia non vedrà un Occidente alla fine - osserva - Le parabole della nostra storia non durano mai, il finale non lo vedremo certamente noi». Oggi, comunque, questa concetto ampissimo trova definizione anche in quella serie di diritti che si sono sviluppati dal 1945 in poi, allargandosi a macchia d’olio in quella fetta di mondo schierata con gli Stati Uniti: «Il pacchetto di cose che oggi sventola davanti al mondo, fatto da diritti, libero mercato e libertà suona allettante ma sappiamo che tutto ciò cela ipocrisie».

«C’è un rapporto di attrazione per chi vede ciò da fuori, ma anche una repulsione per molte parti del mondo verso questa cosa, considerando l’occidente come aggressore. Ma solo nella letteratura le persone possono essere coerenti, la contraddizione è uno dei marchi più forti del presente. Questo getta una luce più complessa sul futuro prossimo, ma anche nelle relazioni con il resto del mondo. Non sono sicuro che sia una buona cosa guardaci ancora come se fossimo il centro del mondo, ma siamo in un mondo che ormai è pieno di centri».

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