lo scenario
L'esperto spiega l'incubo Afghanistan, ecco come i Talebani hanno preso il potere

Laureatosi al Sid e ora analista, Riccardo Valle spiega la situazione nel Paese e ipotizza gli scenari futuri.
Le immagini che arrivano in questi giorni dall’Afghanistan raccontano di un Paese al collasso. Dopo vent’anni dall’invasione degli Stati Uniti per cercare Osama Bin Laden, il ritiro delle truppe occidentali ha scandito di fatto l’avanzata incontrastata dei Talebani. Uno scenario che nasconde al suo interno una profonda complessità, tanto da non essere ancora totalmente chiaro e in continua mutazione, ora dopo ora. A confermarlo è anche Riccardo Valle (nella foto), dottore in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia nonché in Diplomazia e cooperazione internazionale.
Gran conoscitore del contesto mediorientale, attualmente è junior analyst per il centro di analisi e ricerca Analytica di Torino. Il quadro della situazione parte degli stessi protagonisti di queste ore, ossia quel gruppo terrorista che dall’11 settembre 2001 ad oggi ha subito diverse trasformazioni, mantenendo però alcuni punti. All’epoca, i Talebani “non avevano esperienza politica - spiega - e avevano ereditato una struttura di medio-livello, con una visione del mondo intrisa di una visione religiosa molto locale. In vent’anni, però, sono diventati molto più pragmatici”.
Questo si è visto in particolare dopo il loro ingresso a Kabul, dal quale l’opinione diffusa era di cancellare totalmente ogni conquista femminile fatta nel tempo. “In realtà - sottolinea Valle - per ora è stato detto a tutti, uomini e donne, di continuare a lavorare come se niente fosse successo. Ci sono diverse prove in cui si vede che la gente ha mantenuto la sua routine, con le ragazze che sono andate a scuola”. Dall’altra parte, però, arrivano anche notizie che in altre località - dove le milizie sono preseti da più tempo - ci sono state restrizioni, imponendo comportamenti e abiti.
Alcuni esponenti, poi, hanno anche anticipato la possibile chiusura di stazioni radio e tv. “Hanno capito che non possono ricostruire un emirato uguale a quello del 1996, ma comunque lo emula entro certi limiti”. Struttura statale che presenta analogie con lo Stato islamico attuato tra Siria e Iraq, ma le due formazioni sono storicamente in contrapposizione tra loro: “Ci sono delle costanti, ad esempio per le punizioni dei reati. Sono gli episodi più evidenti, soprattutto verso chi commette reati. I Talebani sono stati comunque cauti nell’applicare totalmente la legge del taglione”.
La situazione futura, però, può cambiare rapidamente, soprattutto dopo che il Paese si sarà completamente svuotato da presenze straniere. Nel frattempo, però, “hanno stretti accordi con comunità locali, incontrando gli sciiti e rassicurandoli, affidandogli anche il controllo di una regione. Hanno anche dialogato con i sikh a Kabul, invitandoli a rimanere. Per ora, si concentrano più sui gruppi criminali, con giustizia da Far West”. Un controllo del territorio che ha avuto vita facile contro l’esercito nazionale, seppur questo fosse stato ben armato e addestrato, crollato velocemente.
Una strategia partita dalle province del nord, rimaste invece estranee al loro controllo dalla fine degli anni Novanta. Una zona popolata da molti tagiki e uzbeki “perché in questi anni si sono guadagnati il rispetto dei gruppi locali. Ciò ha colto alla sprovvista tutti, mentre gli altri gerarchi delle forze armate erano corrotti. Molti si sono chiesti perché dovevano morire per il governo di Ashraf Ghani e i Talebani hanno giocato su questo, senza quasi sparare un colpo”. I governatori locali hanno quindi firmato la resa, a patto che le città venissero risparmiate.
L’eccezione è stata rappresentata dalle forze speciali addestrate dalla Cia, ben consci della fine che li attendeva se si fossero arresi. Alla fine, però, diversi elementi hanno deposto le armi in cambio di un’amnistia: “Una scelta che potrebbe non piacere a molti Talebani, si tratta di potenti locali che uccidevano impunemente”. Mentre i militari issavano bandiera bianca, molti civili tentavano - e lo fanno tutt’ora - di lasciare l’Afghanistan. Soprattutto chi ha operato con le forze straniere, con scene agghiaccianti all’aeroporto cittadino di persone aggrappate ai veivoli.
“Non sappiamo che fine faranno, anche se i Talebani hanno promesso l’amnistia. Nessuno sa, però, se terranno fede a questa promessa. Ci sono voci su persone scomparse in altre zone, ma bisogna capire da dove vengono gli ordini”. La paura in tanti però c’è, con diverse ragazze che si sono anche cancellate dai social per evitare di essere scoperte, ma va tenuto contro di alcuni aspetti: “La maggior parte della gente locale non ha copertura internet e smartphone. Principalmente sono nelle città, con un certo background culturale. Sicuramente però la vita peggiorerà”.
Una situazione, però, che esula dall’uso o meno di tecnologica: “Anni fa, il gruppo proibiva l’uso di immagini ma oggi sono loro stessi che fanno video e interviste. Quando sono arrivati nella capitale, si facevano i selfie. Dall’altra parte, c’è da chiedersi sulle sorti delle emittenti televisive nazionali”. I punti di domanda sono ancora tanti, mentre nuovi attori si affacciano sul Paese, a partire dalla Cina: “Ha interesse ad espandere i propri progetti commerciali per ricostruire l’Afghanistan, evitando che il regime appoggi le formazioni che vogliono liberare lo Xinjiang”.
Foto Lion Udler/Telegram
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