Quell'esercito di uomini a torso nudo in tutù rossi, Lafeuille incanta Gorizia

Quell'esercito di uomini a torso nudo in tutù rossi, Lafeuille incanta Gorizia

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Quell'esercito di uomini a torso nudo in tutù rossi, Lafeuille incanta Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 02 Mar 2024
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Grande successo e applausi ieri sera al Verdi, il coreografo Philippe Lafeuille sul palco dopo lo spettacolo per scherzare con il pubblico.

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Seconda tappa in Italia – la prima è andata in scena a Bologna il 28 febbraio – “Car/Men” ha letteralmente ipnotizzato il pubblico di Gorizia, travolto dalla bellezza sconvolgente e dissacrante di una “Carmen” in chiave moderna. Grande successo e applausi ieri sera al Teatro Verdi, per lo spettacolo ideato dal coreografo francese Philippe Lafeuille e realizzato dalla compagnia da lui fondata, “Chicos Mambo”. Dalla scena iniziale, con i costumi bianchi a pois rossi e il capo coperto a nascondere i volti – ideati da Corinne Petitpierre e Anne Tesson - le “donne” si scoprono per rivelarsi uomini.

Un esercito di uomini a torso nudo in tutù rossi, a simboleggiare i petali della rosa rossa di una Carmen strappata alla tradizione. Di Bizet resta una copia a tratti ridicolizzata, incentrata sulla forza e fragilità dell’universo mascolino. Pièce spregiudicata che porta alla ribalta una sorta di macchina umana, in cui il termine “Men” allude al senso stretto della parola. Un’opera che ruota incessantemente intorno all’universo maschile, dove la Carmen impersonata da Antonio Macipe canta ora con voce effeminata ora con tono virile.

Uomini che danzano, uomini che amano, si offrono bouquet, fumano e si sventagliano sotto la gonna senza pudore. Dalle contaminazioni fra Bizet e le canzoni italiane – “La solitudine” di Pausini – lingua spagnola e francese cedono il passo alla dizione italiana: «Parliamo italiano, qui!», rispondono i ballerini al «Me gusta!». Un solista in rete nera danza sfarfallando i suoi ventagli, poggiandoli sulla schiena per tramutarsi in angelo demoniaco. Dietro una sagoma di cartone recita malamente quella che dice di essere una “zingara”, finché il cartellone si ribalta, rivelando i ballerini in mutande nere.

Un’opera in cui gli opposti convivono e si rimescolano, mediante un susseguirsi di parodie e scene che discendono direttamente dal burlesque, con esplosioni improvvise di danze forsennate. Grazie a un corpo di ballo esilarante, non c’è attimo per distrarsi. Nemmeno dopo l’esibizione dei tre ballerini in perizoma, che cederanno il passo a uno squadrone militare. La stessa guerra viene smitizzata e ridicolizzata, perché mentre sui fondali passano le sagome di un carro armato e di un elicottero, i danzatori trotterellano vestiti per metà in tutù rosso e per metà in divisa.

Nel quadro successivo si assiste al ballo della zingara assieme a quattro carnevaleschi fiori intenti a litigare fra loro. Un intermezzo necessario a introdurre la successiva danza solitaria del ballerino che in una prolusione di tulle trasforma il movimento nell’atto miracoloso dello sbocciare alla vita. Perché la meccanica segreta che muove le fila della storia, in fondo, è soltanto l’amore. Quel sentimento terribile e profondamente umano che brucia dentro e tiene soggiogato l’altro. Ecco spiegato il lento incedere dei protagonisti, che passano a coppie o in solitudine a mostrare la verità della condizione umana e di ciascun legame.

Quell’amore tremendo che sarà mostrato nella scena del toro, necessariamente eseguita a luci soffuse. Voltando le spalle al pubblico, il ballerino incarna l’uomo solo di fronte a se stesso, in tutta la sua nudità. Una danza in cui ogni muscolo ha la sua funzione, dove la bellezza marmorea è rimarcata dall’assenza di veli, fondendosi in unità armonica con il sentimento stesso. «J’ai pleuré, j’ai supplié, tout est fini», grida Macipe. Fra skateboard e monopattini, padelle o scopini per spolverare e perfino toreri in paillettes con le nacchere al posto dei genitali, lo spettacolo si avvia alla conclusione. Nel finale assistiamo al trionfo del corpo di ballo, che sboccia in un tripudio di tulle rosso e petali delicati come quelli dei fiori.

Irriverente geniale e anticonformista, a quasi 60 anni Lafeuille continua a stupire, collaborando a progetti artistici e culturali con un’energia inesauribile. Ma chi è il coreografo francese? Dopo aver scoperto la danza grazie a Maurice Béjart, intraprende un corso presso l’Accademia “Solange Golovine” di Parigi, iniziando presto a danzare per Joseph Russillo e in seguito Peter Goss, fino a esibirsi con Madonna e con il grande Rudolf Noureev. Poliedrico ed eclettico, nelle sue creazioni mescola teatro, danza, arti plastiche e una valanga di sarcasmo.

Ed eccolo, Philippe Lafeuille: a conclusione del “Car/Men” farà il suo ingresso teatrale sul palco per poi presentarsi al pubblico. «Dopo lo spettacolo, voglio vedere se siete ben “carmenizzati” – ironizza – Alzatevi, alzatevi in piedi. Per favore, dondolate tutti nella stessa direzione. E ora cantiamo – chiede, mentre il pubblico infervorato inizia a intonare le note dello spettacolo - Grazie, Gorizia, grazie! Spero che siate felici!».

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