Il riconoscimento
A Elisa Menon il 52esimo Premio San Rocco: «Riconoscere il potenziale di Gorizia»
Volto e anima di Fierascena, da anni si occupa di teatro sociale con i detenuti e gli anziani. Dal 2025 si sono lanciati in un progetto nel Parco Basaglia, 'Piccolo cielo'. L'intervista di Ivan Bianchi.
Il 52esimo Premio San Rocco, dunque l’edizione 2025, è stato assegnato dal Centro per la Conservazione e valorizzazione delle tradizioni popolari di Borgo San Rocco a Gorizia a Elisa Menon. Nota a Gorizia per l’impegno nel teatro sociale e per il coinvolgimento in attività teatrali di detenuti e di anziani, delle fasce più deboli e fragili della popolazione, Menon è il volto e l’anima di Fierascena, compagnia teatrale e Aps che ha fondato nel 2010 e che da quindici anni è in espansione, tanto da diventare punto nevralgico di attività e proposte per l’intera città e il territorio. Il premio le sarà assegnato domani, 23 novembre, al termine della Santa messa di Ringraziamento delle 10.30 nella chiesa parrocchiale di San Rocco a Gorizia. A presentare la premiata sarà il giornalista de Il Piccolo, Marco Bisiach.
Originaria di Palmanova, Elisa Menon è nata nel 1981. Dopo il liceo classico ha iniziato a frequentare i corsi di Lingue all’Università di Trieste, per poi indirizzarsi verso lo studio della recitazione e della regia teatrale, specializzandosi in seguito nel teatro sociale all’Università Cattolica di Milano con un master biennale. Nel 2010 ha fondato la compagnia Fierascena con la quale realizza progetti che coinvolgono categorie fragili e a rischio di esclusione, spettacoli di teatro civile e offre occasioni di formazione per attori e operatori. Ha pubblicato proprio nel 2025 il racconto “Guance bianche e rosse. Elda è salita alle Malghe”, che è stato rappresentato come reading musicale in varie sedi nel Friuli Venezia Giulia, ma non ancora a Gorizia – con voce recitante dell’autrice stessa – vincendo il premio Italo Calvino.
Oltre all’impegno con i laboratori teatrali nel carcere di via Barzellini a Gorizia e all’interno di alcune case di riposo nel territorio, prima nel Goriziano e ora nel Pordenonese, Fierascena ha da poco vinto un bando per i contenitori culturali e sta riqualificando la Chiesa delle Stimmate di Gorizia nel Parco Basaglia per creare un nuovo hub culturale inclusivo chiamato Piccolo Cielo. Questo progetto, sostenuto dalla Regione Friuli Venezia Giulia, prevede la restituzione di questo spazio alla comunità, trasformandolo in un luogo vivo per eventi e attività culturali a partire dal 2025.
Vi si potranno svolgere attività legate al benessere sociale e culturale, e la struttura diventerà per le associazioni quel riferimento che oggi manca in un Parco Basaglia che è ancora privo di uno spazio comune. Tra le attività già previste al suo interno sono state pensate “Accademia Basaglia”, la scuola di alta formazione per gli operatori di teatro e arte sociale, la stagione di eventi sul confine intitolata “Marginale” e uno spazio per progetti in condivisione, “Lo spartito”, e poi concerti, mostre e proiezioni di film documentari. Ma più in generale l’ex Chiesa delle Stimmate migliorerà anche la fruizione del parco, per i suoi visitatori, mettendo a disposizione pure servizi pubblici e bagni che oggi non sono disponibili per gli ‘esterni’. «Un impegno importante per noi, perché l’edificio sul quale investiamo non è di nostra proprietà ma è in comodato d’uso gratuito da parte di Asugi per otto anni, fino al 2032, pertanto il bene riqualificato rimarrà per sempre a disposizione della città e dei cittadini».
Il Premio San Rocco 2025, dunque, è come se riconoscesse finalmente Parco Basaglia come sua parte integrante e non una zona cuscinetto tra il Borgo ‘dai ufiei’ e la Slovenia. Tornando ai vari progetti di Fierascena e al premio, Menon si dice fin da subito «felice perché conferma che l’apprezzamento arriva in primis dal pubblico, dalla popolazione, dal territorio che ha compreso i nostri obiettivi e le nostre proposte culturali». La speranza, per Menon, è che «questo riconoscimento, che non arriva da un’istituzione ma dalle persone, muova pian piano un meccanismo e una presa di coscienza».
Fierascena, dalle parole di Elisa Menon, è una realtà che «è votata veramente al servizio della Comunità». E a San Rocco, proprio sul palco della Sala Incontro, sono andati in scena diversi esiti dei percorsi di teatro sociale che ha realizzato, come, per esempio, lo spettacolo teatrale nato dal laboratorio con gli ospiti del Cara. «Negli anni, dai primi progetti fino a oggi la ‘scheda madre’ è rimasta la stessa. Soprattutto grazie alle risorse professionali e organizzative che nel tempo abbiamo formato e messo in campo».
Un premio che «consola» Menon, «dà benzina all’impresa perché Fierascena ancora lavora per consolidare il proprio riscontro. Gorizia è una città particolare, che partecipa in massa ad alcuni appuntamenti mentre ad altri rispondono solo venti persone. Spero che per il futuro ci si possa orientare sempre di più verso una relazione proficua, fruttuosa e di reciprocità con la comunità e che anche gli organi politici e istituzionali colgano a pieno la grande funzionalità e possibilità di queste progettualità».
Per Menon, oltre alla Regione che sostiene il progetto di Piccolo Cielo, fondamentale è l’ausilio della Caritas Diocesana di Gorizia per quanto riguarda le progettualità nel carcere, tanto partecipate che spesso «siamo costretti a far attendere alcune persone che vorrebbero frequentarle a causa dei posti limitati. E non è che i detenuti, prendendo parte ai laboratori, hanno dei permessi speciali o altro».
Partiti in due, nel 2010, con il compagno di vita e di lavoro Marco Fabris, ora in Fierascena sono in sei. «C’è adesso la necessità di iniziare a insegnare offrendo una formazione nel teatro sociale che metta al centro la volontà di capire ed entrare in contatto con le persone. Quanto abbiamo fatto e creato è un metodo di lavoro che deve passare alle nuove leve e deve poter essere divulgato». Menon, infatti, ha al proprio fianco la giovane attrice Federica Mulas che la sta coadiuvando sul campo e che sta entrando all’interno dei meccanismi di questa particolare quanto unica macchina laboratoriale. Alla fine, se Gorizia fu il campo preparatorio per la riforma di Franco Basaglia, perché, tra l’altro negli stessi spazi, non può essere un ulteriore rampa di lancio e fare da vessillo per un nuovo modo di fare teatro sociale?
Elisa Menon ne è convinta. «Il teatro – racconta – ha la gentilezza di non farti sconti. Sembra paradossale ma all’interno del teatro è possibile eliminare qualsiasi tipo di barriera e lavorare senza alcun tipo di protezione ma in un ambiente protetto. E sicuro dove è possibile sporsi al rischio di sbagliare».
Ma Elisa, nel proprio modo di portare teatro, oltre alla formazione professionale, ha inserito un grande lavoro sulla cura del trauma nella relazione d’aiuto e nella gestione del conflitto grazie a uno specifico studio. «È come vivere in una famiglia disfunzionale che da un lato non voglio lasciare per rimanere fedele ma ciò va contro il mio bene. È un conflitto irrisolvibile? Si e no ed è per questo necessario un lavoro profondo e costante nel tempo. Lavorare su questo significa riuscire ad accogliere queste forze confliggenti e dare loro un luogo dove manifestarsi, stare, esistere. E da lì si riesce a trovare una nuova strada che non nega nessuna di queste due necessità, perché sono necessità vitali. C'è del vero in entrambe le parti», racconta Elisa.
Esattamente, però, cosa c'entra questo con Gorizia? «Gorizia è una città che si porta dietro un grosso trauma, che è quello del confine, che è quello della rottura, che è quello di aver passato un tempo relativo ai fatti della guerra, è una città che porta con sé questa complessità: è aperta verso il nuovo, verso chi viene da fuori, ha questa bellezza, ma allo stesso tempo resiste a se stessa e al mondo esterno. Ha una doppia anima. E io qui ho trovato un luogo che è affine col senso del mio lavoro, che è quello di accogliere e cogliere questi due aspetti», prosegue Elisa.
Un lavoro continuo che prevede di «ascoltare, capire qual è il bisogno dietro a queste forze che sono reali entrambe. Gorizia è una città che ha un potenziale, uno slancio di crescita evolutivo enorme. Perché quella stessa storia che è per certi aspetti faticosa e può zavorrarla è quella che diventa la sua risorsa. Allora lì io trovo una corrispondenza col mio modo di lavorare, nel piccolo, con le persone. E anche all'interno, per esempio, del carcere, dove ci sono forze che confliggono. In quel contesto devi essere in grado di accogliere l’istanza dell’agente, che ha tutti suoi problemi, come del detenuto, e comprendere anche che si trovano, a volte, e spesso anche no volendo, su fronti opposti, evitando di metterti da una parte o dall'altra, ma lavorare per aiutare a far sì che quella relazione, che può essere conflittuale, evolva in un saldarsi, in qualcosa di altro che converge. Questo mi dà Gorizia, mi immerge in questa modalità di lavorare che per me, a livello teatrale è un modo di porsi anche a livello etico e professionale. E funziona».
Ora la necessità è di formare una «nuova generazione. Perché il teatro sociale viene dagli anni ’70 e i giovani vanno a formarsi proprio da chi l’ha creato. Ma ci sono nuove tecniche e nuove esigenze che noi siamo riusciti a coniugare in altre modalità di lavoro e vorremmo poterle portare ai giovani stessi. Io sento che adesso è il momento di trovare una nuova dimensione di formazione e di poterla offrire».
Per Gorizia, l’invito che Elisa Menon lancia è chiaro e semplice: «In un contesto di alta formazione in Nord Europa condivisi le mie riflessioni sul lavoro e raccontai della nostra città e delle sue particolarità ed un collega mi disse: “Siete seduti su un baule pieno d’oro e lo utilizzate come un semplice scranno”. Penso che dovremmo riconoscere di avere quel baule e aprirlo».
Foto di Enrico Valentinis.
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