Effetto serra e guerra, quando la crisi migratoria è crisi climatica

Effetto serra e guerra, quando la crisi migratoria è crisi climatica

Fridays For Future

Effetto serra e guerra, quando la crisi migratoria è crisi climatica

Di Fridays For Future Gorizia • Pubblicato il 12 Giu 2022
Copertina per Effetto serra e guerra, quando la crisi migratoria è crisi climatica

La rubrica dei giovani attivisti questo mese guarda agli effetti del clima sulle grandi migrazioni.

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Forse non tutte le persone sanno che esiste una strettissima correlazione tra crisi climatica e crisi migratorie. Per questo, quando si partecipa alle lotte ambientaliste si dovrebbe anche lottare per i diritti umani, altrimenti la lotta ambientalista si riduce al semplice giardinaggio come diceva qualcuno. Partiamo con alcuni dati: secondo l'Unhcr, nel 2020 82,4 milioni di persone (di cui il 42% sono minori) sono state costrette a migrare, numero quasi raddoppiato rispetto al 2010.

Se i governi non attueranno immediatamente azioni contro la crisi climatica, il rischio di migrazioni dovute agli effetti della crisi, come inondazioni e siccità, aumenterebbe di più del 50% per ogni aumento di grado centigrado delle temperature globali, ricordiamo che oggi siamo già a più 1,2°C rispetto all'epoca pre-industriale e che il limite fissato dagli Accordi di Parigi è a 1,5°C. In particolare, noi goriziani vediamo sotto i nostri occhi il dolore delle persone che scappano, dato che viviamo alla fine della rotta balcanica.

Per questo, abbiamo il dovere di capire meglio le cause e le motivazioni di chi rischia la vita per un futuro migliore. E adesso vi starete chiedendo: cosa c'entra la crisi climatica con le crisi umanitarie e le rotte migratorie? Dietro le grandi migrazioni contemporanee c’è lo zampino della crisi climatica. In particolare il caso della Siria, da dove scappano le persone che arrivano in Europa attraverso la rotta balcanica, è emblematico. Dal 2007 al 2010, il suo territorio ha dovuto far fronte a una siccità con un’estensione e un’intensità che sarebbero state improbabili prima della crisi climatica.

Gli agricoltori hanno perso tutti i loro raccolti e popolato le periferie degradate delle città, dove sono iniziati i conflitti per l’acqua e le derrate alimentari, i cui prezzi sono schizzati alle stelle. Un peso l’hanno avuto anche corrotti e speculatori, ma la crisi climatica ha rappresentato la scintilla che ha innescato la miccia della guerra civile e costretto milioni di profughi a fuggire verso l’Europa attraverso la rotta balcanica. Ora qualcuno tra di voi potrebbe obiettare e dire che il clima è sempre cambiato e le migrazioni sono sempre avvenute nella storia dell’homo sapiens, ma non terrebbe conto di due importanti differenze rispetto al passato.

Oggi parliamo di gente disperata in fuga dalla fame e dalla guerra, costretta a lasciare la propria casa. Una migrazione forzata legata a doppio filo a una crisi devastante che riscalda il nostro pianeta come mai era successo prima, in modo molto più rapido, non limitato ad alcune zone bensì esteso all’intero globo, ed è causato dalle attività umane, quali l’emissione di gas serra, la deforestazione, e il cattivo uso del suolo, compresa un’agricoltura non sostenibile. Tutto ciò ha portato a un aumento dell’intensità e della frequenza, degli eventi climatici estremi: dalle ondate di calore alle alluvioni.

Come speriamo abbiate intuito, tutto ciò rende inabitabili alcuni territori. In particolare, il fattore dominante che ha influito su queste migrazioni è l’aumento delle temperature medie. Le ragioni della rilevanza sono due. Da una parte, ha un impatto negativo sui raccolti, che si traduce in una mancanza di cibo. Dall’altra, fa sì che spesso la temperatura si avvicini alle soglie di tolleranza fisiologica per uomini e animali, non lasciando speranza di sopravvivenza in loco, almeno per le persone più vulnerabili.

Quando la crisi climatica contribuisce a distruggere i raccolti e non si ha più da mangiare, quando le lotte per le risorse fanno temere per la propria vita, la sola via di uscita è la migrazione. Prima all’interno del proprio Paese, poi in quelli limitrofi. Infine, verso l’Italia e l’Europa. Una recente sentenza del comitato dell’Onu per i diritti umani ha stabilito che i migranti climatici non possono essere rimandati nel loro Paese. Questa decisione coinvolge l’intera classe politica mondiale, ma gli Stati europei perseguono una politica di respingimenti nei confronti di migliaia di migranti in cammino lungo la rotta balcanica.

Certo, questi fenomeni stanno avvenendo in tutto il mondo con conseguenze sulla vita di ognuno di noi, ma i loro effetti sono maggiori laddove i territori, gli ecosistemi e le società sono fragili e vulnerabili. Infatti, se nei Paesi del Nord globale le solide infrastrutture e le forme di assistenza sociale garantiscono una maggiore resilienza, in quelli del Sud globale gli eventi estremi possono portare alla completa distruzione di una già debole economia di sussistenza. La situazione appare ancora più sbilanciata e iniqua se si pensa che tali Stati emettono pochissimi gas serra, quindi sono anche i meno responsabili della crisi climatica.

Eppure, sono quelli che ne stanno pagando il prezzo più alto perché, in genere, la crisi climatica riesce a minare la loro stabilità in due modi: o come causa prima di innesco di una crisi conflittuale e migratoria, oppure come concausa che accelera o amplifica una situazione critica preesistente. Tutto ciò porta a delle disuguaglianze sociali e a discriminazioni sempre più forti. Ingiustizia climatica che conduce ad un'ingiustizia sociale.

Per questo, in quanto privilegiati e abitanti del Nord globale, dobbiamo lottare anche per chi ora come ora non ha voce, dobbiamo pretendere che per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti e per tutte le persone che verranno ci sia un mondo in cui esista sia giustizia climatica che giustizia sociale. Perché, come si diceva all'inizio, non potremmo mai risolvere la crisi climatica nelle sue più profonde radici colonialiste se non ci guardiamo in faccia e ci diciamo che, prima di tutto, dobbiamo risolvere le ingiustizie sociali. E dobbiamo farlo ora, non c'è più tempo, manca sempre meno.

Siamo all'interno della sesta estinzione di massa e se i governi non agiscoo subito siamo spacciati, non esisterà più niente su un pianeta morto, ma c'è ancora speranza e ci deve essere dobbiamo unirci tutti insieme e lottare verso un unico obiettivo.

A cura di Anna Postorino, 23 anni e Diana Gallicchio, 30 anni, attiviste di Fridays For Future Gorizia. Foto The African Union Mission in Somalia (Source)

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