Editoriale - Monfalcone al voto, recuperare la cultura del linguaggio per costruire il domani

Editoriale - Monfalcone al voto, recuperare la cultura del linguaggio per costruire il domani

L’EDITORIALE

Editoriale - Monfalcone al voto, recuperare la cultura del linguaggio per costruire il domani

Di Salvatore Ferrara • Pubblicato il 12 Apr 2025
Copertina per Editoriale - Monfalcone al voto, recuperare la cultura del linguaggio per costruire il domani

Nella giornata del silenzio elettorale, lontani da urla e proclami, è necessario ripensare a un nuovo modello di comunicazione politica. Per la Politica e per noi tutti.

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La giornata del silenzio elettorale è un po' come il sabato Santo prima di Pasqua. Consentitemi la metafora per rendere l’idea che dopo un mese e mezzo di chiassosa campagna elettorale monfalconese, tutti – compreso chi fa informazione – abbiamo il bisogno di riavvolgere il nastro ed elaborare un pensiero per guardare con serenità e concentrazione ai due giorni che ci aspettano e che indubbiamente segneranno la vita cittadina. Partiamo da quello che può essere stato costruttivo. Tutti i candidati hanno dichiarato di voler ascoltare. L’ascolto implica una presenza. La presenza porta all’incontro, poi ognuno lo fa a modo suo. Ognuno ascolta per cogliere critiche e suggerimenti. C’è però stato un grande assente in questa campagna elettorale appena trascorsa: il rispetto. Il linguaggio politico non è stato edificante in molte giornate. In questo tempo non hanno aiutato le vicende del niqāb a scuola, le sentenze del Consiglio di Stato e i vari video social.

Il linguaggio politico è stato un problema sotto tanti profili. Sembrano svaniti i tratti istituzionali che dovrebbero caratterizzarlo. Così facendo si sono persi di vista molti altri temi da trattare in campagna elettorale e gli avversari politici sono apparsi così nemici. Indubbiamente questo è avvenuto a vantaggio o svantaggio delle varie fazioni in campo ma l’unico a “perderci” in termini di comprensione è stato il cittadino elettore che avrebbe meritato più risposte dettagliate. E ancora: il linguaggio del confronto. Non sono stati accolti gli inviti della stampa locale – cartacea e on line – ad un incontro pubblico con dibattito, secondo le regole della par condicio s’intende, con domande e considerazioni. Nulla di tutto questo è stato possibile. Alle Acli di San Nicolò abbiamo assistito ad un «facciamo finta che …». Tanti sono stati i tifosi e gli addetti ai lavori presenti ma il resto della città dov’era? Tanti punti programmatici e poche argomentazioni hanno portato ad una eccessiva semplificazione che, ad esempio, non ha aiutato molti ad avere un quadro completo della situazione sul futuro delle politiche sociali e del commercio, mentre si è continuato a litigare ancora sulla vicenda della gestione del Fondo Amianto.

L’ «abbiamo fatto» ha prevalso sull’ «abbiamo intenzione di…» così come il «questo non va bene, questo manca» ha prevalso sul «proponiamo che, puntiamo a…». Oggettivamente va detto che la città è cambiata, si è sviluppata se guardiamo alle tante opere pubbliche, alla gestione dei rifiuti, alla nautica e allo sviluppo del litorale. Ma torniamo al linguaggio: come si è sviluppato nei confronti di Fincantieri e con le comunità islamiche? Se ci pensiamo questi due “soggetti” sono legati tra loro. La gran parte degli operai che lavorano nella grande fabbrica sono bengalesi e questo è un fatto. Molti di loro da operai sono diventati imprenditori e hanno cominciato anche a comprare casa. Così una nuova realtà si innesta in quella “storica” già vivente. Lavoro, integrazione e autonomia hanno pure lasciato spazio al “salto” in politica di alcuni di loro: anche questa è una via di comunicazione per chi, dopo molto tempo, cerca autonomia e sviluppo. Cosa dobbiamo imparare allora? Da chi dobbiamo capire? Cosa dobbiamo prendere in considerazione? Forse sono le giovani generazioni che hanno la chiave per ritrovare il linguaggio giusto che aiuta a comprendere e scegliere. Guardiamo alla vicina Slovenia – non solo perché stiamo vivendo Go! 2025 – dove i giovani non vedono muri, ascoltano ed osservano più di quel che pensiamo. Anche qui siamo capaci di farlo e i segni ci sono perché recuperare la cultura del linguaggio significa guardare alla crescita costruttiva del domani.

Foto di Fabio Bergamasco

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