Quelle donne contro gli schemi del sesso, le storie di Valeria Palumbo a Gorizia

Quelle donne contro gli schemi del sesso, le storie di Valeria Palumbo a Gorizia

l'intervista

Quelle donne contro gli schemi del sesso, le storie di Valeria Palumbo a Gorizia

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 24 Mag 2024
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Donne che amano e amano donne, al di là della società che impone loro un matrimonio convenzionale. L'intervista alla scrittrice Valeria Palumbo, ospite a èStoria.

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Donne che scrivono, compongono, dipingono. Donne che amano: e amano donne, al di là della società che impone loro un matrimonio convenzionale. Se ne parla anche a èStoria, ma non perché siano tematiche di attualità. Se ne parla perché questa attualità riguardava anche i primi anni del Novecento, quando a destare rumori, perplessità, pettegolezzi, storture di naso erano la danzatrice Ida Rubinstein, la pittrice Romaine Brooks, la scrittrice Colette fino a Natalie Barney e Elisabeth de Gramont che, nel 1918, stipularono un contratto matrimoniale a suggellare un amore più autentico di quello che univa la seconda (peraltro, amica di Marcel Proust) al marito.

A raccontare le loro storie a Gorizia sarà, in due diversi appuntamenti, la giornalista, storica e scrittrice Valeria Palumbo, recente autrice di “S'avanza la mia ombra a passi di lupa” (edizioni Enciclopediadelledonne.it) in cui raccoglie le biografie di queste giovani desiderose di vivere la propria vita e la loro unicità.

Il primo appuntamento cui parteciperà a èStoria (sabato 25, ore 18, Ridotto del Teatro Verdi) avrà come argomento il suo ultimo libro: da dove viene il titolo e qual è stata la ragione che l'ha spinta a scriverlo?
"S'avanza la mia ombra a passi di lupa" è un verso della poeta Renée Vivien tratto da Chanson pour mon ombre, in cui rivendica l'orgoglio di poeta lesbica e di talento perseguitata dai pregiudizi del suo tempo. Nel 1902, credendo che fosse un uomo, fu dichiarata poeta dell'anno in Francia ma quando si scoprì che era una donna fu coperta di critiche paradossali. È morta giovane ed è il simbolo di queste intellettuali ingabbiate in un mondo stretto, bigotto, ipocrita e maschilista che permetteva tutto - anche gli eccessi - agli uomini mentre alle donne non riconosceva alcuna libertà.

Ho scritto questo libro perché tutta la mia ricerca sulla storia delle donne si concentra sul tema della libertà e sulle ribelli perché, come disse Natalie Barney, la leader di queste Amazones (come furono definite, anche se non si trattò di un gruppo dichiarato ma solo di un numero considerevole di intellettuali lesbiche o bisessuali tra fine Ottocento e primo Novecento): «Sono i ribelli che spostano in avanti i confini dei diritti, passo dopo passo». Inoltre, da sempre mi occupo non solo di intellettuali fuori dal coro ma più in generale di pittrici, musiciste e scrittrici.


Perchè c'è ancora difficoltà - o forse un vero tabù - nel conoscere le vite delle donne che lei cita?
Perché non sono state solo emancipazioniste, sia pure a modo loro, ma dichiaratamente lesbiche, dichiaratamente insofferenti alle convenzioni, non inquadrabili. Hanno teorizzato il terzo sesso. Adesso che si vaneggia di una "teoria gender" che non è mai esistita – ed è un curioso fenomeno: l'omofobia attribuisce agli "avversari" una teoria che non hanno mai elaborato - queste intellettuali così libere oltre un secolo fa sono ancora scomode e "indicibili". A questo si aggiunge che in generale sulle donne si stende ancora una pesante rimozione: la critica, la storia dell'arte, della musica e così via, sono state troppo a lungo in salde mani maschili. E in fondo è ancora nelle loro mani gran parte del sistema culturale.

Cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, dall'inizio del Novecento a oggi rispetto al modo in cui una donna può vivere la propria omosessualità?
Curiosamente l'omosessualità non è quasi mai stata proibita per legge e il motivo è chiaro: una donna poteva essere costretta (e lo erano tutte) a sposarsi e fare figli, a differenza degli uomini. Le loro inclinazioni (etero o lesbiche che fossero) erano irrilevanti, mentre un uomo poteva scegliere e quindi le sue scelte erano rilevanti, e in caso spiazzanti, in nazioni che ritenevano che la demografia è potenza e che la virilità prepotente è la base della mentalità patriottica. Oddio, mi chiedo se sia ancora così ?! Questo non vuol dire però che le donne potessero esibire i loro amori saffici né che vestirsi "da uomo" non fosse pesantemente sanzionato, tanto che in Francia portare i pantaloni, per le donne, è stato teoricamente reato fino al 2013. Oggi si può di più, ovviamente. Ma non ovunque.

Per quanto ne possiamo sapere, al di là delle artiste e letterate di cui racconta, come veniva vissuta l'omosessualità femminile nel primo Novecento?
L'omosessualità femminile è stata spesso meno visibile: chi si scandalizza dei gesti d'affetto tra due donne, nel mondo occidentale? Quindi si è mimetizzata meglio, anche nelle parole. Però certo a inizio Novecento era abominio, come quella maschile: e questo nonostante il numero di lesbiche dichiarate (tra le intellettuali di Londra, Parigi e poi Berlino, mica nelle nostre città di provincia) fosse insospettabilmente rilevante.

C'era o c'è ancora una differenza nel modo di vivere le proprie scelte sessuali se si è un personaggio pubblico, artista o intellettuale, rispetto a essere una persona qualunque?
Sì e no: il vantaggio degli intellettuali è che, spesso, sono riusciti a vivere in ambienti protetti dove le loro idee e inclinazioni erano condivise. Il problema è sempre stato il rapporto con i pregiudizi comuni e le pretese del potere.

C'è una delle donne del libro che l'ha colpita di più e qualche episodio che l'ha particolarmente impressionata?
Difficile scegliere: certo Natalie Barney è la più lucida e serena di queste intellettuali. Ma, tra le artiste, trovo magnifica Lotte Laserstein: la sua è stata una rivoluzione silenziosa, interrotta dall'orrida parentesi del nazismo, ma di incredibile attualità.

Si sarà senz'altro fatta un'idea su cosa chiedessero e volessero queste donne…
Libertà. Libertà di essere sé stesse che vuol dire poter cambiare: nessuno di noi è uguale per tutta la vita. Altrimenti è nato morto.

Nell'incontro di domenica mattina (ore 12, sala Dora Bassi) parlerà invece del "matrimonio" fra Natalie Barney ed Elisabeth de Gramont: come hanno vissuto questa relazione e come venne considerata ai loro tempi?
Fu una lunghissima relazione, durata fino alla morte di Lily de Gramont, personaggio secondo me a torto poco conosciuto. Lily era sposata con un uomo violento e aveva due figli. Natalie, che non le fu mai fedele, le regalò il rispetto e la tenerezza, cose nient'affatto previste né scontate nei matrimoni etero dell'epoca.

Forte è sempre il dibattito sulle unioni civili e molte le polemiche che suscitano: cosa sarebbe secondo lei determinante per cambiare il punto di vista sull'argomento?
C'è stato un curioso equivoco che ha danneggiato le donne tra Ottocento e Novecento: che ci si dovesse sposare per amore. Era un equivoco perché poi le ragazze venivano costrette a sposare chi aveva deciso la famiglia, chi le voleva, chi le manteneva (visto che non potevano lavorare, soprattutto le borghesi). Né poi, scoperto che l'amore non c'era, potevano riacquistare la libertà. Ecco io credo che sia arrivato il momento di dire: se è davvero l'amore che fonda l'unione stabile tra due persone, allora deve essere libero. Non si ama a comando.

Detto questo nel corso del tempo le formazioni "familiari" sono state così variabili che non si capisce perché considerare "naturale" la famiglia borghese nata nell'Ottocento. Dalla poligamia alla poliandria, dall'allevamento dei figli affidato ad altri parenti all'adozione, dal poliamore alla verginità consacrata delle suore, "spose di Gesù", mi sembra che la fantasia non sia mancata ai nostri antenati. Perché dovremmo essere noi a limitare il modo in cui le persone stanno bene assieme?

Notizia di oggi è la mancata firma dell'Italia della dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtq+: qual è secondo lei lo stigma che ancora avvolge questo argomento?
Non è uno stigma generale: è un problema della destra e anche di un cattolicesimo conservatore. Credo che la maggioranza dei giovani non abbia problemi con la queerness. Piuttosto mi ha sempre colpito dell'omofobia il fatto che sia una forma di paura: di che cosa?, dovrebbero chiedersi quelli che la esercitano. Comunque l'Italia è passata a schierarsi con i Paesi più retrogradi d'Europa: personalmente lo trovo tristissimo. I reazionari sono sempre così cupi, spaventati, arrabbiati. Non è un caso secondo me che si identificano nel nero. Battersi per i diritti civili e della Terra (perché guarda caso chi osteggia i diritti civili è anche contro la battaglia per salvare il Pianeta) trovo che renda il cuore e lo spirito leggeri. Sì mi intristisce molto il fatto che siamo intruppati con quest'Europa cupa, misogina, omofoba, arrabbiata e retrograda.


Personaggi pubblici che fanno coming out, che si sposano o adottano figli e fanno conoscere le loro storie così come erano risapute le vicende personali delle poetesse e donne di cultura cui ha dedicato i suoi lavori possono favorire la conoscenza ed essere un aiuto concreto ai diritti Lgbtq+?

Certo: se sei famoso puoi più facilmente far passare un messaggio al grande pubblico. Però, vede, io credo che proprio come è importante che per la battaglia per la parità scendano in campo gli uomini, così credo che per quella contro l'omofobia e la transfobia dobbiamo scendere in campo noi che, quale che sia il motivo, siamo eterosessuali e cisgender. Come nascere uomo o donna è un accidente e quindi non dovrebbe condizionare il fatto di essere pro o contro la parità, lo è nascere con una qualsiasi inclinazione sessuale. La differenza, nell'essere umani, la fanno le scelte. E quella di battersi per i diritti di tutti è una di quelle che, a mio parere, dà proprio il senso di appartenere all'umanità.


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