Don Fioretto Žbogar, un insegnamento che ha fatto scuola

Don Fioretto Žbogar, un insegnamento che ha fatto scuola

Il personaggio

Don Fioretto Žbogar, un insegnamento che ha fatto scuola

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 07 Mar 2022
Copertina per Don Fioretto Žbogar, un insegnamento che ha fatto scuola

Ferruccio Tassin racconta di una figura schiva. «Un esempio di come si possa essere grandi essendo, integralmente, se stessi».

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Laudetur Jesus Christusssssssssssssssssss… Graficamente, il saluto mattutino, abituale, del professor Fioretto Žbogar alle sue classi del Seminario minore di Gorizia, si potrebbe esprimere così. La risposta, altrettanto abituale, degli allievi, schierati all’esterno dei banchi, era “Semper laudetur!”, però più generica, con l’effetto massa. Entrava puntuale, dritto, quasi rigido, stringendosi nelle braccia; veste talare con soprabito; variante, la sciarpa alta, quando qualche piccolo malanno di stagione imponeva la difesa dal freddo che, nel seminario, signoreggiava in inverno.

Severità non maniacale era il marchio dell’insegnamento del prof. Žbogar, unita, per l’italiano, a grande modernità metodologica nello scritto e nell’orale. Espunti, cassati, i luoghi comuni; da mettere in pratica il verbo “sfrondare”; da considerare il sostantivo “zavorra”, l’aggettivo “raffazzonato”, riguardo i periodi che non si facevano capire con chiarezza. Ogni parola doveva avere il proprio valore, per la sua irripetibile diversità. Alimento alla lingua, varie e vaste letture, sventagliando pensiero, curiosità. Insistite considerazioni sulla necessità di una buona cultura generale, premessa al modo di esprimersi con voce e penna.

La memoria: strumento insostituibile da praticare, come per lo scritto, nello spirito del “nulla dies sine linea”. Tutte le poesie a memoria, per l’italiano; tutti i versi latini; tutti i verbi, regolari o meno; caterve di vocaboli, nella convinzione che, se sostanza e strumenti non ci sono, cervello non elabora. Preparazione robusta, in qualità e quantità, finalizzata agli esami di terza media: quotidiani gli scritti di italiano per non brevi periodi, dal tema al riassunto, alla versione in prosa, costruzione, parafrasi. Analisi non improvvisate per i testi, racchiuse in corposi quaderni, testimoni di lavoro dell’insegnante per, e con, l’allievo.

La grammatica, nel suo essere onnicomprensivo, doveva venir posseduta; poi, si poteva giocare con parola e strutture. Ma tutto il prof. Žbogar non era qui; benché fosse difficile carpire qualcosa d’altro, vista la chiusura a riccio di tutta la sua vita. Sapevamo che era sloveno; lo avevamo capito dalla pipa sulla zeta nelle asettiche targhette sulle porte delle stanze dei professori. Chi è entrato nella sua, non ha potuto scorgere altro che arredamento francescano di un cappellano di San Rocco prestato alla cultura. Però c’era spazio all’extra: passione per la Juventus, che influiva sull’umore del lunedì, e quella per il calcio giocato, sul terreno pelato nei campi del seminario.

Chi scrive, reietto calciatore, snobbato anche dai peggiori, può vantare - una - efficace interdizione nei confronti di don Fioretto. Veleggiava verso la porta rivolta a San Rocco, con sorriso ironico per chi non “avrebbe” potuto impedire goal certo. Passi brevi, veloci, racchiusi nella spolverina che non abbandonava i suoi calzoni, neppure in occasioni così informali. Il contatto avvenne a metà campo e il “reietto”, ostacolo inesistente, scalciò sul malleolo del professore. Rete non fu, ma fuga dal campo per offesa così improvvisa ed efficace. “No se fa così!”, fu la protesta, ma il goal fu rimandato a tempi migliori per imprevedibile resistenza di una schiappa.

Continuò l’insegnamento, così efficace, da creare una scuola, benché non codificata in futuri preti e insegnanti. Il dovere di sintesi fu diffuso. Don Žbogar era diventato monsignore, senza aver mai remato nel filo della corrente. La passione per la Juventus rimase, ma con legittimo dubbio quando affiorarono scandali. Al parimenti tifoso di fedeltà juventina, don Renzo Boscarol, il professore chiese, nel giorno del sessantesimo di messa quando in processione stavano uscendo per celebrar messa: “Ma don Renzo, coss te disi de sta’ Juventus?!”.

Le cronache non riportano la risposta. Fin quasi a 90 anni, don Fioretto navigava per Gorizia con la sua bici; faceva il sacerdote; anche se schivo, frequentava le librerie. Aveva costanti interessi letterari e sportivi e una mente moderna. Rimane in tutti un esempio di come si possa essere grandi essendo, integralmente, se stessi. 

In foto: Un'efficace immagine della sua ritrosia a comparire.

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