La dimensione del dilemma morale nell’eccidio di Porzûs, Guance bianche e rosse è il romanzo d'esordio di Elisa Menon

La dimensione del dilemma morale nell’eccidio di Porzûs, Guance bianche e rosse è il romanzo d'esordio di Elisa Menon

LA PRESENTAZIONE

La dimensione del dilemma morale nell’eccidio di Porzûs, Guance bianche e rosse è il romanzo d'esordio di Elisa Menon

Di Nina Tomasi • Pubblicato il 05 Ott 2025
Copertina per La dimensione del dilemma morale nell’eccidio di Porzûs, Guance bianche e rosse è il romanzo d'esordio di Elisa Menon

La regista ed attrice teatrale nativa di Palmanova ha ricevuto per il suo esordio letterario la menzione speciale alla 37esima edizione del Premio Calvino con un romanzo scritto «con le parole di casa».

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«La letteratura, nel senso più profondo di questa parola, pone il lettore di fronte ad un dilemma morale. Lo porta nell’umanità dei personaggi, a guardare le loro scelte da vicino, e lo rende incapace di disegnare una linea tra giusto e sbagliato».

Sono queste le parole con cui ieri, quattro ottobre, presso l’Hotel Entourage di Gorizia, si è aperta la presentazione di Guance bianche e rosse, romanzo d’esordio della friulana Elisa Menon, menzione speciale alla 37esima edizione del Premio Calvino. A fare gli onori di casa è l’autrice stessa moderata dallo scrittore Andrea Pomella, in una conversazione dove si intrecciano la grande Storia, quella dell’eccidio di Porzûs che fa da sfondo al romanzo, quella della Resistenza e della memoria condivisa, e le “minute” storie familiari delle persone che in quella Storia “sono finite”.

Elisa narra le memorie di suo nonno, Gino Persoglia, all’epoca diciottenne partigiano garibaldino che ha avuto l’ordine di salire le Malghe, e quelle di coloro che hanno preso parte a questo episodio, dall’una e dall’altra parte. Insieme a Gino, la protagonista è Elda Turchetti, il cui nome è l’unico che non compare nella lapide commemorativa delle vittime di Porzûs. Elda è una giovane donna cancellata dalla storia, indicata da Radio Londra come spia dei nazisti: sono suoi i passi che il romanzo segue, ricostruendo la sua salita alle Malghe.

«Volevo raccontare da un punto di vista il più possibile autentico e non polarizzato: i fatti storici tendono a venir narrati come bianchi o neri, ma non sono mai così – racconta l’autrice – tirando il filo della storia, mi sono trovata davanti ad esseri umani, davanti ad una giovane donna, ed ad alla domanda "cosa avrei fatto io al suo posto?”»

La profonda attenzione dell’autrice verso la sfera umana dell’individuo non è nuova: Elisa Menon è prima di tutto un’attrice e regista teatrale, fondatrice nel 2010 di Fierascena, compagnia di teatro sociale, che opera in ambienti come il carcere, come le case di riposo, e rende attori ed attrici chiunque abbia qualcosa da raccontare. Ed è profondamente teatrale anche il testo del romanzo, di cui l’attrice ha letto alcuni stralci, nato inizialmente come un monologo drammaturgico la cui peculiarità è quella di una lingua che ricalca in italiano i suoni e le consuetudini del friulano, lingua in cui l’autrice ha sentito per le prime volta parlare dei fatti di Porzûs: «Le parole giuste per questo romanzo venivano da casa, e hanno la temperatura locale del pudore del sentimento. Il friulano non parla tanto, ma con una parola apre il mondo – racconta Elisa Menon – io cercavo proprio quella».

L’autrice presenta anche dei personaggi secondari: Giacca, capo della delegazione garibaldina, personaggio con cui costringe il lettore a passare un capitolo intero da solo per provare ad ascoltarlo, a non giudicarlo subito, Lucia, madre di Elda, vita che trova il modo di continuare a scorrere dopo i fatti di Porzûs.

«Se c’è qualcosa che ho imparato, è di non arretrare davanti alla parte più cupa della storia. Dobbiamo avere il coraggio di guardare fino in fondo, anche quando vorremmo ignorare» racconta l’autrice. E racconta la difficoltà di farlo quando le ferite familiari sono ancora aperte: «Ascoltando le testimonianze di chi ha vissuto i fatti di Porzûs, ne ho trovato più versioni: per la scrittura del romanzo, ho deciso di restare laddove c’era un punto di incontro tra queste» conclude. «Nel raccontare una storia, bisogna avere rispetto del dolore, delle verità personali che ogni famiglia costruisce: solo con un po’ di distanza, raccontare diventa un dovere morale, un’occasione per recuperare un’esperienza e trarne un po’ di bene».  

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