La data che ha segnato la fine di Roma, imperatori e segreti raccontati a èStoria

La data che ha segnato la fine di Roma, imperatori e segreti raccontati a èStoria

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La data che ha segnato la fine di Roma, imperatori e segreti raccontati a èStoria

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 23 Mag 2024
Copertina per La data che ha segnato la fine di Roma, imperatori e segreti raccontati a èStoria

La potenza di Roma iniziò a tremare nel 476 dopo Cristo, quando venne deposto l'ultimo imperatore d'Occidente. La storia raccontata da Hervé Inglebert.

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Secondo Plutarco «Roma non avrebbe potuto assurgere a tanta potenza» senza quel carattere ineffabile a racchiudere «qualcosa di grande e inesplicabile». Dell’Impero romano ancora oggi esistono intatti manufatti e opere d’immenso valore disseminate per il mondo. Non solo il Colosseo a Roma, la Porta Nigra in Germania o la Biblioteca di Celso a Efeso. Anche gli acquedotti testimoniano il genio di un popolo che ha saputo gettare le basi della civiltà, alcuni dei quali tuttora funzionanti come l’Acqua Virgo che alimenta la celebre Fontana di Trevi. Una potenza che iniziò a tremare nel 476 dopo Cristo, anno in cui venne deposto l’ultimo imperatore e l’Impero romano d’Occidente si avviò al tramonto.

Questa “data” non poteva mancare nel vasto panorama del XX festival internazionale èStoria dedicato appunto alle Date, costituendo lo spartiacque simbolico tra mondo antico e Medioevo, sul quale rifletteranno lo studioso britannico Peter Heather – docente al King’s College di Londra – e il francese Hervé Inglebert, dell’Università di Paris Nanterre. L’incontro - intitolato emblematicamente “476 d.C.” e coordinato da Marco Cappelli - si svolgerà presso il Teatro Verdi di Gorizia venerdì 24 alle ore 16.

Per comprendere le motivazioni che hanno condotto alla dissoluzione dell’impero, è indispensabile riflettere sul ruolo degli antichi romani nella storia della civiltà. «La civiltà classica antica è quella della città, territorio in cui vive una popolazione autonoma, gestita a partire da un centro urbano – spiega Inglebert preannunciando i temi del Festival - Un sistema che esisteva presso i Fenici, i Punici (Fenici Occidentali, come quelli di Cartagine), i Greci, gli Etruschi e i Latini. L’apporto determinante dei Romani è quello di aver creato una variante di civiltà basata su elementi greci (la cultura, l’arte), etruschi (alcuni aspetti religiosi dei gladiatori) e laziali (il diritto, il latino), per poi averli diffuso in tutto il loro impero».

A segnare la linea di demarcazione fra le due epoche storiche è l’anno 476, quando Odoacre – capo delle truppe barbare al servizio di Roma – uccide il generale romano Oreste, che l’anno prima aveva nominato imperatore il figlio appena quattordicenne Romolo Augustolo. Una miccia innescata per motivi economici: «Oreste non poteva più pagare le truppe di Odoacre, in quanto il sistema fiscale non funzionava più in maniera adeguata – racconta lo storico francese – Odoacre deciderà poi di pagare i suoi soldati donando loro delle terre nel Nord Italia. In seguito, in accordo con i senatori, scrive all’imperatore di Costantinopoli Zenone per riconoscerlo unico imperatore», ottenendo in cambio il titolo di patrizio come amministratore politico e militare dell’Italia.

«Per Zenone Romolo Augustolo non era che un usurpatore – rimarca il docente – e il solo imperatore legittimo d’Occidente era Giulio Nepote, rifugiatosi in Dalmazia». Romolo Augustolo viene deposto ed esiliato in Campania, nel Castellum Lucullanum – l’attuale Castel dell’Ovo che si affaccia sul golfo di Napoli - «A quanto pare Odoacre sembra aver accettato Giulio Nepote come unico imperatore – prosegue Inglebert – anche se dopo la morte di questi, avvenuta nel 480, Zenone non nomina nessun successore». Con una rendita annuale di 6000 “solidi” – equivalente a 27 chilogrammi d’oro – Romolo fonderà con sua madre il monastero di San Severino, vivendo ancora intorno al 510.

«Non verrà ucciso né da Odoacre né da Teodorico, che erano ufficialmente dignitari romani, in quanto Romolo Augustolo sarebbe potuto servire contro Costantinopoli». Gioco di equilibri che si ripete nei secoli, durante i quali la storia romana tornerà in auge grazie agli scavi di Pompei ed Ercolano di metà Settecento, riaffiorati alla luce e conservati intatti da strati di cenere vulcanica. «Le scoperte archeologiche ci consentono di conoscere aspetti di testi scritti da ricchi aristocratici che in sé ci dicono poco o niente – ribadisce - Mentre gli scavi di Pompei, come centinaia di altri siti, forniscono informazioni sulla vita quotidiana dei romani, dall’architettura delle case alla loro alimentazione».

«Consentono anche di soffermarsi sugli aspetti commerciali - come la provenienza delle anfore da olio o da vino, dei marmi, e così via – e sulle tecniche di lavorazione della ceramica o della vetreria». L’interrogativo sul quale far luce concerne le motivazioni che hanno condotto un impero tanto potente e organizzato a cedere ai Barbari. «Non esiste una risposta semplice – ammette Inglebert – A partire dal III secolo i nemici di Roma furono sempre più potenti. Sul fronte del Reno con i Franchi e gli Alemanni, così come sul Danubio contro i Goti e in Oriente con i Persiani. Ma da Diocleziano a Giuliano (dal 284 al 363), l’Impero romano appare nuovamente capace di dominare i propri avversari».

«L’arrivo degli Unni in Europa orientale dopo il 370, e verso il 400 in Europa centrale, spinge i Goti del Danubio a rifugiarsi nel 376 all’interno dei territori dell’Impero, e nel 407 altri popoli – Vandali, Svevi, Alani – ad attraversare il Reno. Le migrazioni incontrollate di popoli interi, unitamente alle crisi politiche innescate dall’assassinio di Stilicone nel 408 e di Ezio nel 454, oltre che alle guerre civili romane, comportano la perdita di alcuni territori: nel 407 la Gran Bretagna, mentre fra il 429 e il 455 il Nord Africa. Ne derivò un conseguente indebolimento delle risorse fiscali della parte occidentale dell’Impero».

«Tuttavia, nel 460 e quindi nel 468 fu possibile una riconquista dell’Africa vandalica, limitando le ambizioni di Goti, Svevi e Burgundi. È soltanto dopo il 468 che l’Impero d’Occidente – ridotto essenzialmente all’Italia – non può più giocare un ruolo dominante. Bisogna sottolineare poi altri tre punti. Innanzitutto, il processo di scomparsa dell’Impero d’Occidente è durato per tre generazioni, un tempo molto lungo, ma normale se comprendiamo come i gruppi di barbari fossero in realtà poco numerosi. Parliamo di qualche centinaia di migliaia di persone nell’arco di un secolo, a fronte di una popolazione di circa 30 milioni di abitanti nel solo territorio occidentale».

Disfacimento di una potenza causata da una complessità di fattori intrinseci ed estrinseci. «Non si tratta del crollo di un impero di fronte a un’invasione esterna – come nel caso dell’impero sasanide di fronte agli Arabi fra il 633 e il 651 – o di fronte a rivolte interne – come nel caso degli imperi coloniali europei – ma di una combinazione complessa di fattori esterni, come la presenza di nuovi attori di origine barbara, e interni, dovuti a cattive scelte politiche o circostanze sfortunate. Infine, c’è da aggiungere che le élite militari barbare parteciparono dopo un secolo al gioco politico dell’ambiente romano, fornendo numerosi generali e romanizzandosi attraverso l’adozione del latino, del cristianesimo e del modo di vivere aristocratico, ottenendo la cittadinanza romana».

«Il punto essenziale è che bisogna ragionare in termini di potere, piuttosto che in termini di nazioni – che non esistevano – Dalla fine del IV secolo gran parte dei leader barbari erano nati o cresciuti nel mondo romano, o avevano fatto carriera nell’esercito imperiale. Ciò spiega come le élite regionali furono in grado di collaborare con loro, poiché non apparivano più stranieri o barbari e spesso erano legittimati dagli imperatori che li avevano accolti al proprio servizio, finendo per offrire una seria alternativa politica agli aristocratici romani, di fronte a un potere imperiale annichilito».

«Nessuno aveva la reale intenzione di distruggere l’Impero d’Occidente, ma il potere imperiale si era estremamente indebolito dopo il 460, divenendo addirittura superfluo dopo il 468. Ciononostante, l’impero rimase nella sua parte orientale diretto da Costantinopoli. E dopo il 476 comprendeva ancora ufficialmente il regno di Odoacre - poi passato a Odorico – ma anche il regno Burgundo e alcune parti della Gallia, mentre i regni dei Vandali e dei Visigoti erano ormai divenuti indipendenti».

Nella foto: celebre affresco della Villa dei misteri a Pompei (Wikicommons)

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