Ab omni malo gutturis… ci protegge San Biagio!

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Il commento

Ab omni malo gutturis… ci protegge San Biagio!

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 03 Feb 2023
Copertina per Ab omni malo gutturis… ci protegge San Biagio!

Ferruccio Tassin racconta la storia di una devozione, quella al santo protettore della gola, molto sentita in tutta l'arcidiocesi e in particolare nella località di Alture.

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Oggi, San Biagio: gran festa ad Alture, piccolo paese della Bassa Friulana. La chiesa se ne sta in alto, al riparo di antiche escrescenze di acque: benedette perché alimentavano locali e fiorenti mulini … ma quando era troppo era troppo, meglio cautelarsi per quello che era il cuore della vita paesana nel ritmo del tempo!

San Biagio è comunissimo nella diocesi di Gorizia: parrocchie sotto il suo patronato; un tempo, confraternite; altari a lui dedicati; numerose opere d’arte lo raffigurano: a lui si rivolgevano le persone nelle emergenze che segnalassero malattie legate alla gola. Come si può capire, era uno spettro molto ampio, un tempo, assai meno soggetto a possibili rimedi, perfino nei casi più banali di necessità.

In questo giorno, un mio amico d’infanzia, non grande frequentatore di chiese, memore dei trascorsi giovanili da chierichetto, con in testa tutto lo scorrere delle feste religiose, veniva puntuale per la benedizione della gola, con le abituali due candele incrociate. Si usava ancora il latino e si percepiva che, per intercessione di San Biagio, si pregava Dio, di tener lontano ogni mal di gola (ab omni malo gutturis) e, già che si era, anche a quocumque alio malo (da qualsiasi altro male).

Lui, appena sul sagrato, alla fine del rito, si accendeva una sigaretta e pronunciava l’abituale espressione “E cumò podin amcje lâ a bevi un cuart!”. Irrisione, neanche per idea, era fede semplice, visto che nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Visco, aveva dato un’occhiata al quadro di un altare laterale: accanto a San Valentino e a Sant’Antonio, compariva un partecipe San Biagio, con le vesti episcopali.

Anche le opere d’arte sottolineano l’attaccamento a questo Patrono. Nel santuario di Castions di Mure, dalla stupenda facciata abbracciata da due campanili, allorché, per un incendio, bruciò un antica pala (del pittore settecentesco palmarino di origine francese Pietro Bainville),folta di santi, nel rifacimento ottocentesco, compare Biagio (morto nel 316), ritratto in abiti vescovili e pastorale, il motivo di questa inclusione è riferita dal cappellano Pietro Tiussi in una nota riportata sul Libro storico: nel 1870 c’era stata un’epidemia di difterite e la popolazione aveva chiesto con forza l’istituzione di una festa a San Biagio, concessa dal parroco di Bagnaria l’anno successivo.

La devozione al Santo si sarebbe poi mantenuta e protratta nel tempo, divenendo appuntamento fisso nel calendario delle celebrazioni castionesi. Altra patetica aggiunta nella storia dell’arte a sfondo religioso delle nostre terre: sul finire del XIX secolo (siamo nel 1892), a Cormons infierisce da più anni la difterite tra i bambini che, “in poche ore vengono rapiti all’affetto dei cari genitori”. Le madri si votano a San Biagio: fanno una colletta e si rivolgono al decano per far dipingere un quadro, da inaugurare su di un altare laterale per la festa del Santo.

L’opera è di Clemente Delneri: “… Una madre, coll’impronta del dolore sul volto, tiene fra le braccia un tenero bambinello che si contorce pei dolori acuti … e San Biagio in abiti pontificali che tenendo due candele accese in mano in forma di croce benedice la gola al bambino.

Si può essere scettici quanto si vuole, ma la veneranda persona di quel canuto vescovo così pieno di affetto per quella creaturina commuove fino alle lagrime … e là le madri cristiane si raccoglieranno, quando il morbo fatale minaccierà la vita dei loro cari parvoli, e imploreranno ajuto e conforto…” (ora il dipinto è custodito nel museo del duomo).

Feste con appendici fantasiose e piene di partecipazione si svolgono in varie parti d’Italia; è veneratissimo in Oriente; in Occidente annoverato fra i 14 santi ausiliatori. È patrono di Ragusa (Dubrovnik) dov’è una sua reliquia maggiore (il cranio); il motivo è presto detto: la notte fra il 2 e il 3 febbraio del 971, nelle acque antistanti la città, la flotta veneziana era venuta per attentare alla indipendenza della repubblica ragusea, ma in sogno, il Santo era apparso ad un personaggio di primo piano avvertendolo, e così fu possibile sventare l’attacco; di lì, nacque il patronato sulla città.

E la gola? La gola, perché salvò un giovinetto in grave pericolo per una grossa spina conficcata in quella delicata parte del corpo. Quando, da testimone della fede, fu incarcerato, prima del martirio, la madre del fanciullo gli portava cibo e candele. Inizialmente, il suo corpo fu sepolto a Sebaste in Armenia.

Ma, per tornare ad Alture, dalla chiesa singolarmente spogliata di suppellettili (si involò fin l’acquasantiera), quasi per compensazione, sotto l’intonaco, in lavori relativamente recenti, comparve un bel Cristo del Cinquecento e, sotto ancora, LUI, San Biagio in affresco ancora più antico. Staccati, questi lacerti, attendono una ricollocazione. Quando il più recente miracolo del Santo si manifesterà, festa grande! Plebi oppresse dalla fatica di vivere, avevano guardato a Lui nel faticoso viaggio fra la terra e il cielo e avevano dato fin allo sfinimento pur di poterlo avere con loro … almeno in immagine. E lui alle persone di oggi, parlerà degli avi che hanno lasciato l’opera d’arte, e la festa.

In foto: Alture di Ruda, il Cristo del Cinquecento e, in secondo piano, riemerge un san Biagio ancora più antico.

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