IL DIBATTITO
Cpr di Gradisca d’Isonzo, dalla sinistra il messaggio è ancora per la chiusura

Il confronto pubblico che si è tenuto all’Hotel Franz ha ribadito la richiesta di chiusura dei centri per il rimpatrio: «Non sono strutture adeguate, peggiori delle carceri».
«Un meccanismo di marginalità sociale, confino e sottrazione temporale allo sguardo della collettività di persone che le autorità non intendono includere, ma che al tempo stesso non riescono nemmeno ad allontanare. Come se l’individuo smettesse di essere una persona per essere ridotta esclusivamente a corpo da trattenere e confinare» cita Paolo Iannacone, presidente del centro di accoglienza Ernesto Balducci, durante il confronto che si è tenuto a Gradisca d’Isonzo a favore della chiusura del Cpr.
Ieri sera nella sala conferenze dell’Hotel Franz sono intervenute diverse personalità per presentare agli ascoltatori le loro ragioni, unite dalla speranza di una futura chiusura dei centri di permanenza per i rimpatri. «Abbiamo capito che i centri non sono strutture adeguate: non sono dignitose per le persone trattenute, peggio delle carceri. Non lo sono nemmeno per le persone che devono andarci a lavorare giornalmente, ossia gestori e forze di Polizia.» Spiega il sindaco di Gradisca, Alessandro Pagotto. Nel corso del tempo l’Amministrazione ha portato delle mozioni in cui è stata chiesta con forza la chiusura dei centri. «Il territorio vive queste strutture tramite forti tensioni sociali. Veniamo a conoscenza di episodi di incendi, suicidio… Su un totale di 90 persone, 30 hanno tentato di salire sul tetto per cercare la fuga».
Dalla loro istituzione nel 1998 come Cpt – Centri di permanenza temporanea, sono stati poi denominati Cie – Centri di identificazione ed espulsione, ed ora li conosciamo come Centri di permanenza per i rimpatri. Durante gli anni le strutture sono proliferate e hanno perso il controllo. Il diritto europeo ha lasciato alle amministrazioni nazionali il controllo e la gestione dei centri: questo ha fatto sì che si creasse un mondo completamente privo di regole, in cui la detenzione non è temporanea e non ci sono autorità di sorveglianza qualificate. «È da 20 anni che noi seguiamo regolarmente l’evoluzione della struttura – afferma Giovanni Sammito, dirigente nazionale territoriale del sindacato italiano unitario di Polizia – i centri nacquero senza prevedere un incremento di risorse umane. Quando ci venne detto che era la Polizia a doversi occupare della struttura, ci aspettavamo che ci avrebbero fornito delle risorse, invece la composizione del personale si è rivelata mista. È necessario acquisire del personale qualificato, che si occupi del centro in maniera continuativa ed esclusiva».
Sempre nel merito della mancanza di personale e di strumenti adatti per gestire il Cpr, Patrick Sione, segretario regionale Fvg del Silp Cgil, ha sottolineato l’inadeguatezza di alcuni ambienti del centro. «Aprire uno dei centri più grandi d’Italia in una delle regioni più piccole è stato un errore enorme. Abbiamo iniziato con 30 uomini, di cui 20 sottratti ai servizi prioritari di Polizia territoriale. Ancora oggi la situazione è la medesima – sono le parole Sione – ci sono zone inagibili in cui si rischia di mettere a repentaglio l’incolumità degli ospiti e degli operatori. Si concede l’agibilità a stanze che non sono idonee.» Per di più si riscontrano problemi di climatizzazione e riscaldamento e il guasto di 50 telecamere su un totale di 110. «Nel 2006 avevamo già la sensazione di trovarci davanti a un carcere e non a un centro di accoglienza».
«La verità è che l’amministrazione europea non è riuscita a trovare una soluzione, né a governare questo fenomeno, che è andato fuori controllo» afferma Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà nonché ex vicepresidente dell’associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione. La soluzione al problema del centro si conferma dunque con la richiesta della sua chiusura. Servirebbero provvedimenti di regolarizzazione permanente, «per permettere a migliaia di persone di non cadere nell’irregolarità, nello sfruttamento del lavoro in nero, eccetera… L’espulsione e il rimpatrio saranno l’estrema ratio» dice Stefano Gallieni, presidente dell’associazione Diritti e frontiere. Il numero dei provvedimenti di espulsione è di 28mila, su una forbice di 350-450mila cittadini stranieri irregolari: è chiaro che una cifra simile non possa essere contenuta da alcun centro sul territorio nazionale.
Ma allora, qual è l’interesse a mantenere aperto un centro del genere? Secondo il dirigente Siulp Sammito, il Paese da alcuni anni punta «sul meccanismo della deterrenza. La mia opinione è che questo centro serva a mantenere alta la sensazione di pericolo e di insicurezza.»
«La presunzione che lo straniero rappresenti una minaccia è la devastazione della nostra umanità – sostiene Iannacone – dovremmo avere il coraggio di incontrare questi volti e conoscere le loro storie, i loro percorsi e la loro geografia. Generalmente non vengono qui in Italia per fare i delinquenti, ma per avere il futuro che tutti noi vorremmo avere se fossimo nelle stesse condizioni. Sono persone che vanno a cercare la vita, lì dove c’è».
A fare eco alle posizioni esposte nel corso del dibattito anche la dichiarazione giunta a margine dell'evento dalla consigliera regionale del Pd Laura Fasiolo. Netta anche la posizione della dem: «Quella dei Cpr è un'esperienza sciagurata, strutture-mostro come quella di Gradisca, che per 20 anni si sono trascinati tra ingiustizie e disumanità, vanno chiusi». Vent'anni di «infinita disperazione» marcati dall'«assenza di proporzionalità tra motivo della detenzione amministrativa rispetto a eventuali reati, diritti umani calpestati»: motivo per cui secondo Fasiolo è necessario che «intervengano i Ministri dell'Interno e della Giustizia», prima che scoppino «l’ennesima rivolta dei migranti irregolari in attesa di essere rimpatriati, gli ennesimi incendi nelle celle, interventi della polizia».
«Non si attendano altri gravi incidenti o altri morti» ammonisce la consigliera, terminando la sua nota con un rimarco di quelle che a suo avviso sono state le carenze della Regione a riguardo. «Per ben due volte sono stati respinti dei miei emendamenti volto a rafforzare la presenza di mediatori culturali, un'azione peraltro prevista dalla legge regionale 9/2023 sull'immigrazione, unitamente a risorse per favorire l'alfabetizzazione e la comprensione di lingua e cultura con il superamento delle difficoltà comunicative dei migranti - così ancora Fasiolo - in contesti di umana depressione e deprivazione culturale come il Cpr-Cara di Gradisca, tali risorse sarebbero essenziali per rendere il clima più umano e sostenibile».
Ha collaborato F.D.G.
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