I documenti
In fuga da Tito, quei tre di Monfalcone controllati dalla Cia nel 1947

A recuperare i documenti, ormai non più sotto segreto, è stato Marco Barone. I rapporti raccontano del 'controesodo'.
È il tempo a regalare, dagli archivi della Cia che man mano rendono pubblici e, dunque, senza il segreto, documenti dell’agenzia di intelligence statunitense, nuove sfumature alla storia del nostro territorio. Marco Barone, che già ha fornito al nostro quotidiano alcune novità riguardanti il versante del neonato (per l’epoca) confine tra Italia e Jugoslavia, ora torna a Monfalcone ritrovando alcuni documenti sul cosiddetto “controesodo” monfalconese.
“L'esodo dei monfalconesi per andare a costruire il socialismo in Jugoslavia fu imponente, tanto che la città praticamente venne quasi svuotata dalla sua componente comunista filo jugoslava, cosa che ai filo italiani sicuramente non creò fastidio, visto che si era in un periodo caldo e teso, ovvero quello in cui si stava ancora lottando per decidere le sorti dell'area triestina e del monfalconese. Un documento della CIA, molto interessante, datato 3 novembre 1947, descrive il modo in cui venivano reclutati gli italiani per andare a lavorare in Jugoslavia. Emerge che in base a delle indagini effettuate da parte della Questura di Udine, un gruppo di comunisti stava girando per l'Italia, in particolare modo in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Puglia, Basilicata, Sicilia, Campania, per reclutare della manodopera da inviare nel Paese di Tito”, racconta Barone.
Il reclutamento doveva avvenire esclusivamente attraverso l'unione antifascista italo slovena, i comunisti giuliani, i sindacati giuliani. “L'ingresso nella zona B avveniva in modo illegale, anche se ovviamente con il benestare delle autorità jugoslave. Arrivati i lavoratori nei quartieri generali delle organizzazioni triestine attraversavano il confine tra la zona A e zona B in barca per poi essere caricati su dei camion per andare nell'area di Fiume dove avveniva lo smistamento. Emerge la disciplina ferrea a cui sarebbero stati soggetti, si parla della diffidenza della popolazione verso questi italiani in diversi casi e soprattutto della difficoltà di cambiare il danaro ricevuto come paga, una volta ritornati in Italia, praticamente rimanevano con quattro soldi in tasca, in base a quello che si legge nel report”.
“Specificano, gli americani, che le autorità jugoslave non consentivano il ritorno in Italia, salvo che per gravi motivi di salute e beffa nella beffa, alcuni lavoratori che entrarono illegalmente in Jugoslavia, per andare a costruire il socialismo, decisero di fuggire per le condizioni in cui lavoravano nell'immediatezza ma al loro rientro nel territorio triestino vennero arrestati a causa dell'ingresso illegale nella zona A. Tra questi vi erano tre monfalconesi fuggiti da Sarajevo e Belgrado. Come sappiamo poi, quando ci fu la rottura tra Stalin e Tito, nel 1948, i monfalconesi che decisero di rimanere fedeli alla linea sovietica, dovettero vivere una situazione drammatica".
"Va detto comunque che, come è noto, ci sono anche diverse testimonianze di lavoratori che andarono a costruire il socialismo in Jugoslavia di tutt'altro tenore, molti decisero di rimanere in Jugoslavia e costruirsi lì il futuro”, conclude Barona Va ricordato come siano vari gli studi effettuati sull'esodo dei monfalconesi in Jugoslavia, da ricordare ad esempio quello dello storico monfalconese, Marco Puppini, e del fiumano d'adozione, Giacomo Scotti.
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