IL DEBUTTO
Il confine come soglia e porta: i Gordi di Milano debuttano con ‘Breve enciclopedia delle porte’

Lo spettacolo è andato in scena al Kulturni dom nella serata di domenica. Prevista per oggi la replica al Teatro SNG di Nova Gorica.
Una compagnia nata nel 2010 «davanti ai fornelli di una casa in affitto in Giudecca» durante un laboratorio con Anatolij Vasiliev. Al gruppo dei Gordi - residente presso il Teatro Franco Parenti fino al 2026 - Riccardo Pippa approda cinque anni più tardi come regista, proponendo spettacoli accolti con successo anche all’estero. Per Artisti Associati e Il Rossetti ha invece allestito la strepitosa pièce “Breve enciclopedia delle porte”, debuttata in prima nazionale nella serata di ieri – 21 settembre – al Kulturni dom di Gorizia, e in replica oggi al Teatro SNG di Nova Gorica. «L’idea è nata circa due anni fa, all’interno di alcune residenze che avevamo intrapreso presso Artisti Associati – ricorda Pippa – dove ci siamo incontrati a cadenza annuale lavorando senza l’ansia di un debutto imminente. Si è trattata della prima esperienza in cui le tappe di una residenza artistica fossero retribuite per tutti i partecipanti. Le residenze artistiche spesso offrono solo il luogo, e lo barattano in virtù di un’apertura pubblica che tu farai, mentre quelle fatte presso Artisti Associati sono state tutte retribuite. Riconoscendo il lavoro di ricerca come parte integrante di quello svolto dagli artisti. Una libertà che ci ha consentito di comprendere quale linguaggio utilizzare, per sperimentare e “paciugare”. È stato un processo laboratoriale, in quanto la call di Artisti Associati era sul tema del confine». Due porte e un corridoio aprono la scena a un contrappunto di storie che si susseguono come nella vita quotidiana.
Sei, gli attori che attendono per una risposta, una concessione, un esame medico o una selezione, avvicendandosi sul palco sotto nuove vesti. Loro sono Claudia Caldarano, Cecilia Campani, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandri Pivotti e Matteo Vitanza. Che agiscono in uno spazio-non luogo in cui l’attesa stessa diviene andare-oltre-la soglia, amplificando il senso di sospensione sull’ignoto. «Inizialmente sapevo di voler lavorare su qualcosa di concreto – rimarca il regista – come l’elemento scenico che è la porta. Un modo per innestarsi in una compagnia che si occupa per lo più di teatro fisico. Anche se parlare del confine in un contesto come Gorizia e Nova Gorica era per noi una richiesta impegnativa. Per questo abbiamo evitato di metterci sulle spalle esperienze non nostre, scegliendo di parlare agli spettatori attraverso il nostro immaginario e rendendo il confine in maniera esperienziale. Una sorta di scatola magica con tante porte, poi diventata sala d’aspetto, che per certi versi è il luogo del confine per eccellenza». Sala in cui l’attesa stessa assume i connotati di una forte sospensione - creando suspense nel pubblico - ma anche spazio virtuale per commuoversi o sorridere, come durante lo sketch della clownterapia.
E veniamo al titolo dello spettacolo, proposto un po’ per caso dalla scenografa Anna Cingi: «Per noi lo spazio è drammaturgia – ribadisce – e io ho un confronto continuo con la scenografa fin dall’inizio del processo creativo. A un certo punto si è fantasticato di avere in scena tante tipologie di porte: a soffietto, scorrevole, girevole. Una fantasia buttata lì, rispetto alla quale Anna disse: “Tipo una breve enciclopedia delle porte”. E lì è nato, anche se poi il percorso è diventato un altro». Una narrazione che «procede per accumulo» assottigliandosi o dilatandosi intorno a “C9”, mentre s’uno schermo scivolano buffi pinguini oppure oche in volo che inseguono Christian Moullec in deltaplano. «È quasi una sensazione schizofrenica – spiega – la stessa che ciascuno percepisce nella propria quotidianità. Questo procedere enciclopedico ruota intorno alla porta e alla sala d’aspetto intesi come luogo di passaggio, soglia su cui la porta si apre o si chiude». A dar vita alla miriade di ruoli via via diversi sono stati i costumi ideati da Beatrice Farina e cuciti sulla drammaturgia di Giulia Tollis. «Non c’è tempo per raccontare i personaggi – aggiunge – che nascono, vivono e muoiono spesso in un unico passaggio».
Microstorie rese «attraverso una partitura fitta di gesti, montata con un rigore musicale» il cui tempo accelera vertiginosamente. «C’è un copione a tutti gli effetti che va rispettato – precisa - dove la parola non dev’essere necessariamente compresa». Peculiarità che ha permesso di portare le opere precedenti nel Regno Unito e in Turchia, dove sono state accolte con identico calore. «A Londra siamo andati con “Sulla morte senza esagerare”, “Pandora” e “Visite”: tre rappresentazioni con cui torneremo nella primavera dell’anno prossimo. Tra attori e pubblico c’era una sintonia incredibile, forse perché gli anglosassoni fruiscono in modo diverso rispetto a noi. In Italia si applaude o meno, si ride o si piange, ma tendenzialmente non in modo rumoroso, oppure si tossisce. Invece lì hanno tutta una gamma di reazioni, si avverte molto la presenza del pubblico. E abbiamo avuto anche un’ottima risposta da parte della critica». Risate, applausi e gradimento anche nella serata al Kulturni dom, in una città dove ormai i confini sono invisibili e le due comunità – slovena e italiana – rappresentano un’unica realtà.
«Quali sono i confini del nostro vivere – riflette - e quando un confine diventa soglia? Non ho la risposta, perché non facciamo conferenze, ma teatro. Parliamo di situazioni in cui l’approccio è sempre esperienziale. Il teatro è una macchina che procede per azioni. Ciò che si chiede al pubblico è di attivare il proprio sguardo per azioni e di immedesimarsi in virtù di queste. Le porte sono tutte quelle che siamo riusciti a mettere in una sala d’aspetto, che può essere sala per un esame, per una cura, per un documento: tutte situazioni di sospensione. È un tema di fragilità condivisa delle persone, che nonostante tutto cercano di portare avanti la loro vita con insistenza e caparbietà. È come assistere a un’umanità operosa, variegata, che tenta di riordinarsi, risolvere, ma fallisce e ritenta, similmente al mito di Sisifo. Questo continuo tentare esprime grazia e tenerezza, ed è quanto vorremmo trasmettere». Perché seppure in quest’era della deterrenza atomica stiamo tornando ai muri e alla disintegrazione dell’ordine sociale, i Gordi rivendicano l’importanza di riconoscersi nella propria vulnerabilità. «I muri e le guerre – evidenzia - nascono a partire da certezze, da verità che possono essere economiche, di fede, o anche da tracotanza e prepotenza. Non c’è empatia né voglia di sintonizzarsi su ciò che ci accomuna davvero, che non sono le verità, ma le fragilità. Che è invece quello che accomuna tutti i nostri lavori. Perché – domanda retoricamente - amiamo parlare di soglia e porte più o meno mentali, e di un’umanità che tenta e ritenta? Vogliamo che il pubblico sorrida, si commuova e si riconosca. Più che davanti a una verità, davanti a una fragilità».
(Foto: Rossana D'Ambrosio)
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