La comunità ebraica di Trieste fra annullamento e ritorno alla normalità

La comunità ebraica di Trieste fra annullamento e ritorno alla normalità

DAL FESTIVAL

La comunità ebraica di Trieste fra annullamento e ritorno alla normalità

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 31 Mag 2025
Copertina per La comunità ebraica di Trieste fra annullamento e ritorno alla normalità

Nel volume di Silvia Bon, presentato a èStoria, raccontata la Relazione Stock. Spunti anche sul Medio Oriente oggi. «Necessario fermare l’odio e il desiderio di annientamento dell’altro nelle nuove generazioni».

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Uno scavo nella memoria collettiva che non trascura riflessioni personali. Il libro “Sogno e speranza” di Silva Bon parte dai documenti testimonianti la situazione della comunità ebraica di Trieste all’indomani dell’insediamento angloamericano senza poter trascurare alcune riflessioni sulla presente situazione nella striscia di Gaza.

Presentata da Dario Mattiussi, segretario del Centro Isontino di Ricerca Storica e Documentazione Storica e Sociale “Leopoldo Gasparini”, la storica ha centrato il proprio volume sulla relazione Stock in cui il presidente della Comunità ebraica, con lucidità e accuratezza, ricostruisce gli eventi della persecuzione e della discriminazione. Più di mille i deportati su una comunità che contava 2500 persone, 181 gli appartamenti saccheggiati con spoliazioni valutate oltre 94 milioni di euro, negozi depredati e beni raramente restituiti: questo si trova nelle pagine del volume lette da Lucia German, che riferiscono fra le preoccupazioni più urgenti della Comunità quella di trovare un ricovero per le circa 500 persone che erano rimaste nascoste a Trieste e per quelle che vi sono rientrate a guerra conclusa.

«Tutte le culture hanno diritto di essere apprezzate per la loro unicità, non per l’esotismo che vi possiamo vedere e la peculiarità della cultura ebraica è quella di vivere la gioia della vita, sprone per superare i momenti di censura e annullamento fisico cui è stata sottoposta per millenni» ha esordito Bon. La storica ha confessato di aver concluso il volume due giorni prima del 7 ottobre del 2023, momento che per il mondo ebraico è stato vissuto come un ritorno al periodo di Auschwitz. «C’è poi stata un’escalation in forma sempre più violenta e incontenibile ed entrambi i popoli sono ora ostaggio di decisioni e decisori che non riescono a controllare. Bisognerebbe invece valorizzare tutte le forme di avvicinamento fra i due popoli tentate negli ultimi decenni in ambito culturale».

Il volume nella sua prima parte racconta il lentissimo recupero della normalità, frenato dal fatto che la città prima dell’occupazione angloamericana era stata sottoposta a quella fascista e jugoslava: i rapporti fra l’amministrazione e il presidente della Comunità ebraica Mario Stock sono stati tesi per decenni e fino alla fine degli anni Ottanta, al termine del suo incarico, ha lottato perché si potesse tornare a una situazione di tranquillità.

La postfazione con cui si conclude il libro porta l’autrice alcuni giorni dopo il 7 ottobre, quando ha cercato di porsi in modo lucido e razionale davanti a una situazione che di lucido e razionale aveva e continua ad avere ben poco. «Mi sono confrontata con giornalisti e storici palestinesi, con testimonianze che narravano la volontà di un approccio dialettico fra il mondo israeliano e palestinese. Ciò che è necessario fare è fermare l’odio e il desiderio di annientamento dell’altro che si trovano nelle nuove generazioni ma per ciò che hanno subito finora interrompere questo fiume di sangue e odio sarà estremamente difficile». 

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