l'incontro
Il cinema riletto dal montaggio all'Amidei, Walter Fasano ospite a Gorizia
Lo sceneggiatore e montatore ospite ieri sera al Kinemax, il racconto di come si compone un film in tutte le sue forme e quel rapporto con Bertolucci.
«Accanto a noi c’è un film coloratissimo: grazie per non essere usciti a vedere “Barbie”. Girare “Pino” a colori sarebbe stato divertente». Esordisce così Walter Fasano, con una delle tante battute che caratterizzeranno il prosieguo del suo incontro. Uno scorrere veloce di parole, ricordi, citazioni, battute, descrizioni – di scene di film, visti e a cui ha lavorato, ma anche di momenti di vita vissuta – e poi nomi, tanti: di registi, autori di colonne sonore, attori, sceneggiatori. L’incontro con Fasano, inserito nel percorso “Sguardi indipendenti” del premio Amidei a Gorizia, precipita il pubblico raccolto nella sala 2 del Kinemax in un vortice.
Qui la storia del cinema degli ultimi decenni si shakera con il presente e il futuro di quest’articolato mondo. Nel presentarlo Steven Stergar pone l’accento sulla poliedricità dell’autore di cui in sala sono appena stati proiettati i due cortometraggi “Finale” e “Tre anni” (entrambi del 2000) e il lungometraggio “Pino” (2020), opere delle quali Fasano ha curato la sceneggiatura e, a parte nel primo caso, anche la regia. Per illustrare i motivi del passaggio dal montaggio alla macchina da presa e del processo di maturazione personale e artistica che ha caratterizzato l’arco di questi vent’anni, lo sceneggiatore ha spiegato alcuni dettagli.
«Quando monti una scena c’è un momento in cui potresti fermarti perchè la scena funziona. Poi però pensi che c’è un cinema di 130 anni che ti ha ispirato e quindi ci continui a lavorare per trovare qualcosa di inaspettato e imprevedibile. Occuparsi di montaggio significa trovarsi in una stanza dalle 9 di mattina alle 8 di sera e quindi anche per questo, essendo un’esperienza privativa di molti momenti della vita normale, a un certo punto senti il bisogno di fare altro». E nonostante stia sperimentando strade diverse, Fasano non rinnega neppure un attimo della bellezza del lavoro di postproduzione che, attualmente, lo sta vedendo impegnato in una serie televisiva diretta dai gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo.
«Hanno la metà dei miei anni, ma essendo doppi, compensano» ha spiegato, e ancora: «Il montaggio richiede di essere multitasking, impone di avere molte competenze: quando “passi” le scene, valuti la recitazione, la fotografia, devi montare la musica. Ti trovi a maneggiare il materiale di artisti straordinari come Thom Yorke e Sting: a quel punto cerchi di metterti al loro livello smettendo il ruolo di fan adorante». A proposito di musica, le domande del pubblico riportano alla colonna sonora di “Pino”, il documentario che Fasano ha dedicato all’artista barese protagonista dell’avanguardia degli anni Sessanta.
Un’ora di interviste, fotografie delle sue opere, video che lo ritraggono nelle varie fasi creative, il tutto assemblato sullo sfondo di una musica pulsante e ricorrendo a una tecnica di frammentazione del racconto che sembra dilatare i tempi del documentario rendendolo in realtà solamente più denso di contenuti. La frammentazione si ritrova anche in “Bertolucci on Bertolucci”, film documentario realizzato nel 2013 assieme a Luca Guadagnino. La pellicola, che per motivi di diritti d’autore non può essere riprodotta integralmente e di cui sono stati proposti i primi quindici minuti, si basa sulle trecento ore di filmati di interviste in italiano, francese e inglese.
Interviste che Bertolucci rilasciò dagli esordi fino alla fine della carriera. Il materiale, rivenuto da Guadagnino e montato da Fasano, ruota attorno a spunti tematici come il rapporto con la figura paterna nella quale confluiscono i sentimenti verso il padre biologico, il poeta Attilio Bertolucci, e quello intellettuale, Pier Paolo Pasolini. Non mancano, nel corso dell’incontro con lo sceneggiatore, riflessioni sul significato della memoria: «Ogni tempo ha la sua memoria e adesso ci sono persone che vanno decisamente in tilt nel momento in cui devono cambiare il cellulare perché temono di perdere le migliaia di video e foto che scattano quotidianamente».
Un ulteriore importante questione riguarda il presente e il futuro della postproduzione: «Oggi esiste un problema reale e non riguarda solo il mondo del cinema, ma è una questione ontologica che investe la razza umana: adesso si lavora molto con il digitale, si possono modificare voci, inserire delle parti. Eppure così la verità non esiste più, non si sa distinguere quale sia».
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