Le cimici si preparano alla nuova stagione... ma lei resiste

Le cimici si preparano alla nuova stagione... ma lei resiste

il racconto

Le cimici si preparano alla nuova stagione... ma lei resiste

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 26 Feb 2022
Copertina per Le cimici si preparano alla nuova stagione... ma lei resiste

La storia di Ferruccio Tassin dell'incontro con l'animaletto verde e quei ricordi.

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Tempo di lettura

Sono passati più di trent’anni; era d’estate; come al solito, me ne andavo per l’orto. Da buon “verde” (ma di bile), ammazzavo le pugese con una ben nota e coordinata azione mano-piede. Era una afosa giornata d’agosto: non si muoveva foglia: fu così che avvertii una voce flebile, ma di tono basso. Guarda che ti guarda; scruta che ti scruta, con gran meraviglia, mi accorsi che, a parlarmi, era una pugesa. Era grossa, verde, ben carrozzata (mi spiegò, poi, che la sua era una livrea firmata).

Mi pregò di lasciarla in vita. Anche l’uomo ha un cuore: volevo dimostrarlo a quell’insetto! Visse. Mi fu grata; promise di raccontarmi tutto sulle pugese: senza mentire. L’amicizia divenne sempre più grande. Le volli leggere quanto aveva detto di lei la rivista “Il giornale della soia” (per lei, il giornale del paradiso). 

Lessi con calma, quasi sillabando (mi aveva confidato che era una nezara autodidatta per la lingua umana): “… in alcune aziende friulane si è ritenuto necessario intervenire nei confronti della nezara viridula. Anche se si tratta ancora di casi per lo più isolati [siamo nel 1986] è indispensabile preoccuparsi fin d’ora delle situazioni nelle quali ci si verrà a trovare probabilmente fra non molto …”, e poi “… per la nezara viridula: evitare la vicinanza con culture di girasole, fagiolini, ecc …”.

Rise soddisfatta: evidentemente non erano intervenuti e, per fortuna (sua), le colture erano anche a contatto con gli orti, pieni di buone cose da succhiare. Passava il tempo, e ormai la informavo quotidianamente di quel che la gente diceva di lei (per non farmi perdere tempo, mi aspettava sempre sulla stessa foglia di fagiolo). Ghignò divertita (un ghignetto sfiatato, sembrava asmatica), quando le spiegai che era un parassita “… che si è diffuso quest’estate in maniera maggiore che negli anni passati …” (così un esperto sul giornale del 18 ottobre), e poi aggiunsi che un altro esperto, su un altro quotidiano (22 ottobre 1987) aveva dichiarato: “… Abbiamo constatato con piacere che, rispetto allo scorso anno, la presenza è diminuita …”.

Per farmi contento e tirarmi su di morale (avevo perso i miei fagioli preferiti; mi avevano persino fatto venire il morbillo ai pomodori), chiamò la cantastorie dello sciame. A me sembrava tutto uno ZZZZzzz… quello che diceva, ma la nezara sapiente tradusse così: “Son la pugesa, son la nezara / per il colore chiamata viridula / tecnici esperti per me si dannano / ed io contenta rimango qui!”.

Poi, con improvviso salto ritmico proseguì e concluse: “Son la nezara / sono molesta / Ma nella Bassa / mi fanno la festa”. Pensai che non aveva torto: una festa alla soia si faceva per davvero nella Bassa, e me ne andai ancora più con le ruote sgonfie, gettando un’occhiata distratta a un grosso ragno nero fasciato di giallo. Era una vecchia cotica, un patriota (per via dei colori), che si era stanziato qui fin dai tempi dell’Austria. Aveva nella tela, lontana e ben avvolta nel filo bianco, una nezara.

Gli chiesi che cosa volesse significare il deposito. Mi spiegò (sarà stato un sogno, ma a me sembrò dicesse così: “Lascio la nezara in magazzino; solo se dovesse capitare una fame superiore a quella del 1817 (l’anno della fame), mi rassegnerò a metterla in tavola!”.
Ora la nezara non mi parla più: l’hanno sostituita colleghe molto più scafate di lei, marmorate, mobilissime, dalla pancia biancastra e dal “profumo” ancora più intenso, che continuano - imperterrite - a devastare orti e frutteti e ai, primi tepori, ricompaiono irridenti, promettendo altri sfracelli.

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