Il caso
Centri islamici di Monfalcone in appello: «Tolti luoghi prima del Ramadam»

L'avvocato difensore rilancia la «positività dell'ordinanza del Tar». L'accusa delle tempistiche prima del periodo di digiuno religioso.
Dopo un’iniziale – e cauto – momento di silenzio da parte dei rappresentati dei due Centri culturali islamici di Monfalcone, a seguito dell’ordinanza di decisione pubblicata stamattina sul sito del Tar del Friuli Venezia Giulia, è l’avvocato Vincenzo Latorraca, difensore del Darus Salaam e Baitus Salat a parlare.
L’ordinanza è chiara, ma il Tar «ha voluto rammentare che gli elementi necessari per la concessione della tutela cautelare siano due ed in particolare il c.d. fumus boni juris ed il periculum. La parte interessante riguarda proprio il primo elemento, ovvero gli aspetti giuridici della vicenda contenziosa, soprattutto laddove afferma che: “l’uso per il culto non appare assolutamente vietato dalle specifiche previsioni della pianificazione urbanistica nella zona B ove ricade l’immobile (combinato disposto dall’art. 13, comma 1, e dall’art. 7, comma 2, lett. o), delle n.t.a. del P.R.G.C. di Monfalcone)”. Contrariamente a quanto afferma l’Amministrazione comunale il P.R.G., dunque, non vieta, nelle zone residenziali l’attività di culto».
Preghiera, dunque, non vietata espressamente dalla pianificazione urbanistica e, sempre secondo Latorraca «il Comune non ha neppure dato: “la puntuale dimostrazione che il mutamento d’uso contestato abbia determinato o possa determinare l’incisione degli standard previsti dal D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 e dal d.P.Reg. n. 126/1995” (standard urbanistici). Infine, neppure la pretesa violazione delle norme in materia di sicurezza, secondo il Tar, può configurare un abuso edilizio per mutamento di destinazione d’uso».
È secondo il profilo del cosiddetto periculum, dunque, che il Tar «ha ritenuto che il sovraffollamento dei locali possa comportare un pericolo per l’incolumità, ritenendo, pertanto, sulla scorta di quest’ultimo punto, di non concedere la tutela cautelare». L’avvocato ritiene che «l’ordinanza è positiva e condivisibile laddove riconosce il buon diritto ad esercitare l’attività di culto anche nelle zone residenziali e commerciali, e dubita che ricorra, nel caso esaminato, un mutamento di destinazione d’uso o l’incisione degli standard. Non lo è nella parte relativa al periculum: il bene della vita inciso dalle ordinanze del comune riguarda i diritti universali di associarsi e di pregare liberamente garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce».
Secondo quanto riporta il difensore, «le associazioni hanno versato in atti una relazione tecnica che indica il numero di persone che possono accedere ai locali e la presenza di idonee certificazioni degli impianti e delle dotazioni di sicurezza. Nell’imminenza del Ramadan privare gli associati degli spazi necessari alle attività associative e di culto costituisce un pregiudizio grave ed irreparabile», conclude Latorraca. Ecco la ragione per cui le associazioni ricorreranno, con appello cautelare, al Consiglio di Stato.
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