Il personaggio
Cento candeline per Gastone Milosa, un secolo di vita da Napoli a Gorizia

La particolare vita da ingegnere edìle nelle parole dei figli. Tra gli episodi anche l’ultima eruzione del Vesuvio.
Ha attraversato un secolo di storia con lucidità e passione, rassegnandosi alla pensione soltanto all’età di ottant’anni. Lui è Gastone Milosa, che lo scorso 2 aprile ha spento ben cento candeline ricevendo gli auguri dell’assessore al Welfare Silvana Romano, oltre a una targa per i 75 anni di laurea dal Presidente dell'Ordine degli Ingegneri di Gorizia Alberto Pich.
Goriziano di adozione, Gastone nacque nel capoluogo partenopeo nella primavera del1925, conseguendo due lauree in ingegneria edìle e contribuendo a ricostruire la sua città martoriata dalle bombe alleate. «È stato nominato senatore dell’ordine degli ingegneri a Napoli, mentre a Gorizia ha ricevuto una targa per i 75 anni dalla laurea», rimarca il figlio Mario, che poi racconta come dopo una breve parentesi a Milano il padre tornasse nella sua città di origine, dove ricostruì il centro in gran parte distrutto durante la Seconda guerra mondiale. «Partecipò per lo più alla ricostruzione del quartiere di Forcella, i cui palazzi furono sventrati dalle bombe», aggiunge. Quello che nel romanzo “La pelle” Curzio Malaparte definisce «uno dei quartieri più miserabili e sordidi» racchiudeva un labirinto di vicoli attorcigliati «come un groviglio d’intestini».
Un budello di tuguri e macerie che l’ingegnere s’impegnò a ricostruire rimboccandosi le maniche, lavorando alacremente come direttore tecnico per diverse imprese. «Napoli fu una delle città più colpite – prosegue Mario – in quanto dopo l’armistizio fu sottoposta a una serie di bombardamenti a tappeto da parte di americani e inglesi. Lui ebbe modo di assistere a molti di questi episodi, sperimentando persino l’ultima eruzione del Vesuvio».
Quella che Plinio il Giovane raccontò in una lettera a Tacito, Gastone lo visse sulla propria pelle, tramandandolo a figli e nipoti. «Ci fu questo boato – precisa Mario attraverso le parole del padre - seguito da un fiotto di lapilli e lava che andò molto su in cielo, e una terribile nube scura che si propagò sulla città. Aveva appena diciannove anni». Un turbinio di vicissitudini e incontri, che gli consentirono di approfondire l’immenso passato stratificato nello stesso suolo della città. «Negli scavi per gettare le fondamenta vennero trovati tutta una serie di reperti del periodo romano – rimarca – perché quella era la zona dei Decumani, della Napoli prima greca e dopo latina». Le tre antiche strade fendevano la città secondo lo schema dell’originaria colonia greca di Neapolis, attraversando il cuore del centro storico. Fu durante uno di questi scavi che suo padre conobbe l’archeologo Amedeo Maiuri, che lavorò ai resti rinvenuti dopo aver preservato dalla guerra gli Scavi di Pompei. Fra le tante opere di Milosa spunta anche il parco Kennedy, che oggi vanta un centinaio di appartamenti.
«È orgoglioso di aver realizzato un parco di più di 30 fabbricati – spiega Mario – occupandosi dell’impianto idrico e di illuminazione e assegnando anche nomi alle vie, che il comune di Napoli non ha modificato. Da grande appassionato di astronomia attribuì nomi di pianeti e galassie. A cent’anni è autonomo e presente, convinto che l’aver mantenuto il cervello in esercizio lo abbia aiutato a conservare questa lucidità». Da Napoli all’area bergamasca fino ad approdare all’isontino nel 2006. «Per seguire noi, che per lavoro ci siamo spostati, prima si è trasferito in Lombardia con mio fratello e poi qui a Gorizia, dove subito si è trovato benissimo. Perché alcuni viali, soprattutto quelli laterali di Gorizia, la zona di via Bellini e via Rossini, gli ricordano molto il Vomero degli anni Trenta, dove ancora esistono strade alberate che profumano nel periodo primaverile».
«Mio padre è sempre stato appassionato anche di mare – narra la figlia Serena dalla provincia di Monza e Brianza – pur non riuscendo a espletare il servizio militare, dal quale fu esonerato. Adesso che ha attraccato la Vespucci a Trieste è andato a visitarla con mio fratello. Laureatosi nell’immediato dopoguerra, non ha potuto inseguire il sogno di andare per il mare, ma gli è rimasto questo grande amore». Una vastità lasciata e infine ritrovata nel golfo di Trieste, o nei tanti volumi sulla marina raccolti in casa. «Spesso dice che nelle vene della nostra famiglia, più che sangue scorra acqua di mare», ammette con orgoglio. Aggiungendo come il padre abbia lavorato per sessant’anni, accettando la pensione a ottanta.
«Conserva tutti i suoi progetti – specifica - che all’epoca erano cartacei. Ogni tanto va a guardarseli, e tuttora, a cent’anni, rifà i calcoli a mente, ricordando ogni personaggio illustre incontrato. Ha sempre amato la sua professione, considerando i lavoratori come fossero figli. In un certo senso è stato un po’ il pioniere della sicurezza sul lavoro, perché pur non essendoci allora le normative attuali, obbligava gli operai a utilizzare i dispositivi di sicurezza disponibili all’epoca, valutando in prima persona il rischio di un’impalcatura». A dispetto del terzo millennio, in cui le morti bianche sono in gran parte causate da titolari senza scrupoli, l’ingegnere Milosa aveva a cuore i suoi dipendenti. «Scendeva negli scantinati, si arrampicava su. Pur essendo piccolino, è sempre stato molto energico. Non ha alcun tipo di artrosi, probabilmente aiutato da questo stile di vita. Un lavoro che non avrebbe mai voluto abbandonare». Un uomo che ha creduto molto anche nelle capacità della donna, in un’epoca in cui gli studi universitari erano prerogativa maschile. «È stato uno dei primi a credere nella realizzazione femminile che andasse al di là della famiglia. Mi ha sempre spronata ad andare avanti negli studi. Io stessa mi sono laureata in chimica industriale, allora ero una delle pochissime donne ad aver scelto questo percorso di studi. Oggi che ancora si sente parlare di “padri padroni” posso dire che mio padre è sempre andato in senso contrario», conclude con fierezza.
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