l'intervista
Il caso Montesi nel film di Saverio Costanzo ospite a Gorizia, «una critica all'Italia»

Domani il regista presenterà il suo film insieme all'attrice Alba Rohrwacher al Kinemax, al centro il primo caso mediatico nazionale su una violenza sessuale.
Cinecittà, anni Cinquanta. La dolce vita, un’industria – quella cinematografica - che inizia a decollare aiutando gli italiani a superare le violente, recenti immagini della guerra. Un mondo che promette successo e attrae ma che, dietro lustrini e successo, può anche nascondere corruzione e perversioni. Tra la fascinazione e la pruriginosa curiosità su ciò che accadeva in quell’universo dorato si muove “Finalmente l’alba”, l’ultimo film scritto e diretto da Saverio Costanzo.
Presentato in anteprima in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, distribuito nelle sale cinematografiche italiane da 01 Distribution a partire dal 14 febbraio, il film verrà proiettato domani alle 17.45 al Kinemax di Gorizia dove sarà introdotto dallo stesso regista e da Alba Rohrwacher (nella foto, insieme allo stesso Costanzo), già protagonista delle sue precedenti pellicole “La solitudine dei numeri primi”, “Hungry hearts” e della serie tv “L’amica geniale”.
Prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, società del Gruppo Fremantle, con Rai Cinema e in collaborazione con Cinecittà Spa e Filmnation entertainment, l'opera si fregia di un cast internazionale in cui spiccano Willem Dafoe (ora nelle sale anche con “Povere creature!”), Lily James (fra le protagoniste del recente “The Warrior – The Iron Claw”), la giovanissima Rebecca Antonaci (già in serie televisive come “Luce dei tuoi occhi”, “Don Matteo 13” e “Lea, un nuovo giorno”), Joe Keery (alias Steve Harrington di “Stranger things”) e Rachel Sennott (vista al cinema in “Bottoms” e nella serie “The Idol”).
Il film racconta la storia di Mimosa, scelta per un ruolo minore in un kolossal di Cinecittà a cui avrebbe voluto partecipare la sorella come comparsa. La ragazza viene notata dalla star del film, Josephine Esperanto (Lily James) che, colpita dalla sua innocenza ed estraneità a quel mondo, coinvolge Mimosa in una notte sregolata, costellata da attori hollywoodiani e faccendieri. Parallelamente a queste esperienze emozionanti e stranianti si racconta la tragica fine di Wilma Montesi, aspirante attrice ritrovata morta appena ventunenne sul lido di Capocotta, una vicenda al tempo molto seguita e rimasta irrisolta, che richiamò l’attenzione del pubblico soprattutto per il coinvolgimento di personaggi molto in vista.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Saverio Costanzo all’alba – tanto per giocare con il titolo della sua pellicola – della proiezione goriziana cui seguirà, nella stessa giornata, la presentazione del film a Udine e Pordenone.
Romanzo di formazione, ricordo e omaggio a Cinecittà: cosa ha realmente inteso raccontare con questo film?
La storia viene dall’omicidio di Wilma Montesi, il primo caso mediatico italiano. Venne ritrovata sulla spiaggia del litorale romano, le motivazioni di questa morte vennero subito ricondotte alla sfera sessuale. L’immagine che venne restituita del fatto fece sì che la gente cominciasse a preoccuparsi più dei carnefici che della vittima, verso cui l’Italia scoprì per la prima volta l’indifferenza. Ho voluto riscattare questa storia, certo che alcuni fatti d’epoca possano spiegarci dove siamo più facilmente di qualsiasi discorso. Nel film la protagonista supera la linea d’ombra e diventa donna con un epilogo fortunatamente diverso da quello che aveva percorso Wilma. Anzi: attraverso questa esperienza Mimosa scopre la propria forza e il motivo del suo essere al mondo.
Si racconta di un mondo dorato che attira ma che può anche sconvolgere soprattutto nel caso in cui si venga da un contesto diverso da quello dello spettacolo: ci sono in questo senso dei riferimenti di critica da parte sua?
La critica è presente nell’affresco di questi personaggi che concorrono a creare la situazione di “agnello in mezzo ai lupi”: c’è una critica al maschilismo, al maschio dell’epoca ma anche al nostro Paese che non è all’avanguardia rispetto ad altri su queste tematiche. I lupi tuttavia non sono solo gli attori ma tutti quelli che girano attorno alla protagonista: non è una critica al mondo dello spettacolo e del cinema ma al potere che può derivare da questi contesti.
Quindi queste riflessioni si riferiscono agli anni Cinquanta o alla società contemporanea? Visti i recenti casi mediatici pensa anche lei sia causa del patriarcato?
Wilma è stata trovata morta dopo essere entrata in contatto con Cinecittà. È stata violentata e la gente diceva che se l’era andata a cercare: anche adesso è così, siamo cambiati pochissimo. C’è una profonda misoginia, non parlerei tanto di patriarcato.
In diverse interviste seguite alla proiezione a Venezia si parla degli omaggi e delle citazioni che si possono riconoscere nel film: sono voluti o sono nati da memorie inconsce che aveva in mente?
Sono tutte finte citazioni: di una stessa scena sono state dette cose diverse. In verità è un labirinto di citazioni che dovrebbe annullare ogni rimando e comunque nessuno di essi è intenzionale.
Come ha scelto gli attori e cosa hanno portato personalmente alla sceneggiatura?
Joe Keery è una star di Netflix che sta cercando di capire che tipo di attore sia, Lily James è una straordinaria attrice inglese, Willem Dafoe e Alba Rohrwacher non hanno bisogno di presentazioni. Ho mischiato un po’ le carte, accostando attori italiani poco noti con personalità internazionali di spicco. Sul set poi in genere succede che gli stranieri si adattino al modo di fare cinema europeo, molto democratico, dove ognuno si appropria del personaggio aggiungendovi qualcosa di sé nonostante la solidità del copione.
Secondo lei il mondo del cinema esercita ancora la fascinazione che percepisce Mimosa?
Penso di sì, la gente sta tornando al cinema, una forma d’arte che non morirà mai. Si ha bisogno di vedere la propria vita rappresentata con bellezza e al cinema anche il pensiero della morte può diventare consolazione. Gli uomini primitivi nelle caverne hanno lasciato delle immagini delle loro esistenze e noi come loro cerchiamo immagini che riproducano la nostra memoria: quando raccontiamo qualcosa che ci è accaduto finiamo col metterlo in forma di pellicola.
“Prima dell’alba”, “L’alba del giorno dopo”, adesso il suo “Finalmente l’alba”: come mai questo momento della giornata è stato scelto per i titoli di diversi film e romanzi?
(Ride) Non l’avevo vista così, in realtà per il titolo ho pensato a Alba Rohrwacher perché tutti i personaggi riportano a lei. Poi io vivo con un’Alba… (l’attrice è sua compagna nella vita, ndr). Ma l’alba è anche un momento bellissimo, il momento della giornata in cui tutto è ancora possibile.
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