in tribunale
Bambino morto nel pozzo a Gorizia, il turno delle difese: sentenza a maggio
_6622b0990db29.jpg)
Durata circa tre ore, l’udienza non è stata sufficiente per sentire tutte le arringhe difensive. Si proseguirà il 26 aprile, le posizioni emerse in aula.
Dopo la severa requisitoria del pubblico ministero Ilaria Iozzi dello scorso 28 marzo, oggi è toccato ai legali dei membri del Curatorio della Fondazione Fondazione Palazzo Coronini Cronberg esporre le proprie memorie difensive alla giudice Cristina Arban, del Tribunale di Gorizia. Si tratta di uno dei passaggi conclusivi del processo sulla tragica vicenda della morte del tredicenne Stefano Borghes, a seguito della caduta nel pozzo di Villa Coronini il 22 luglio del 2020.
Vicenda giudiziaria che, dopo la condanna per patteggiamento dell’allora facente funzioni direttore Enrico Graziano e, in appello, del consulente per la sicurezza Federico Costadura, vede ancora imputati il sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna (difeso dall’avvocato Antonio Montanari), presidente per statuto della Fondazione, e gli altri membri del Curatorio: l’ex direttore della Biblioteca statale isontina Marco Menato (Paolo Menato e Christian Serpelloni), l’allora assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli (Franco Dal Mas e Pierfrancesco Scatà), la direttrice del Servizio Ricerca, musei e archivi storici dell’Erpac Raffaella Sgubin (Francesco Donolato), il commercialista Maurizio Boaro (Enrica Lucchin) e il componente cooptato supplente Bruno Pascoli (Franco e Dario Obizzi).
Le repliche al pm
Montanari ha fin da subito voluto contrastare «certe suggestioni, fini a se stesse, emerse durante le conclusioni della pm, affinché non accompagnino il giudice in camera di consiglio, quando dovrà formulare la sentenza». Per esempio, «nessuno di noi – così Montanari, riferendosi anche ai difensori degli altri componenti del Curatorio – si è mai sognato di pensare che “la colpa di quanto accaduto sia di Stefano”. Ziberna, che è stato accusato di non essersi mai presentato al processo, aveva contattato e ricevuto fin da subito la famiglia Borghes, cercando anche di concordare un’iniziativa a ricordo del piccolo Stefano».
Il legale ha poi anche contestato la descrizione emersa del pozzo, volta a rappresentarlo come un ammasso di pietre semoventi e coperto da lamiere spesse quanto due fogli di carta: «Quel pozzo non era un rottame, la pietra è caduta a causa della pressione esercitata dalla fune utilizzata dai vigili del fuoco durante il tentativo di salvataggio e recupero del corpo. Il pozzo non era in stato decadente, a non aver funzionato è stato uno dei tre ganci a “L”, che ancora non sappiamo perché ha ruotato di 360 gradi su se stesso».
Di seguito, l’avvocato si è poi soffermato sull’interpretazione corretta da dare alle norme previste per la messa in sicurezza degli ambienti di lavoro. Nel caso del pozzo, la pm aveva sottolineato come fosse prescritta la necessità di un parapetto alto un metro, di una copertura e, in caso di necessità, di un’adeguata segnaletica. «Ma se viene contestata l’assenza della cartellonistica – sempre Montanari – non può essere fatto ugualmente anche per il parapetto e la copertura: la pm avrebbe dovuto scegliere una tra queste misure di sicurezza per dimostrare un profilo di colpa specifica». Inoltre, «stabilito che il parapetto a protezione del pozzo di villa Coronini era alto 94 cm, quella differenza di 6 centimetri non avrebbe certamente impedito il povero Stefano di salire sul pozzo per celebrare la vittoria della caccia al tesoro», ha affermato il legale brandendo in aula un metro pieghevole.
Smentita anche la critica della pm secondo cui nessun risarcimento è stato versato dagli imputati alla famiglia Borghes. Su questo punto è intervenuta l’avvocata Lucchin: «È falso, perché il risarcimento è stato già fatto dalla compagnia che ha assicurato la Fondazione. Non solo. Fin dall’udienza preliminare è stato chiesto di quantificare l’ammontare del risarcimento».
Le funzioni del Curatorio
Gli interventi delle difese hanno poi cercato di definire il ruolo reale che aveva il Curatorio all’interno della Fondazione. Lo ha fatto in particolare Serpelloni, difensore dell’ex direttore della Biblioteca statale isontina Marco Menato: «Nel momento in cui vengono pensate per il Curatorio persone con competenze esclusivamente culturali, l'idea era quella di creare un organismo con funzioni di indirizzo politico e culturale, e organi per la gestione concreta della struttura».
Un quadro avvalorato anche da quanto emerso dal processo parallelo, quello conclusosi lo scorso dicembre alla Corte d’appello di Trieste. Il direttore generale, infatti, non solo era affiancato da due dipendenti, ma aveva anche ampi poteri di spesa, per i quali non era necessaria alcuna delibera da parte del Curatorio. Sono state persino sottoscritte delle convenzioni con enti come il Corpo forestale dello Stato o la Regione Friuli Venezia Giulia, senza che ci fossero delibere. Per l’avvocato Donolato, le funzioni di quest’organo erano più simili a quelle di un’assemblea dei soci, piuttosto che a quelle del consiglio d’amministrazione di una società.
La richiesta di dissequestro
Contestata anche l’affermazione della pm secondo cui alla Procura non sarebbe mai arrivata una richiesta di dissequestro del pozzo per la sua messa in sicurezza. La più dura, su questo, è stata l’avvocata Lucchin, avendo lei stessa inviato alla Procura una mail il 17 maggio 2021, proprio per sapere «se è stato disposto il dissequestro per ottemperare a quanto predisposto dal dipartimento di prevenzione». Per Montanari, inoltre, la richiesta non si sarebbe potuta fare prima perché, se fosse emerso qualcosa durante il dibattimento, non sarebbe più stato possibile disporre una perizia valida.
Il convitato di pietra
Durante l’udienza è emersa un’altra questione, sottaciuta nel corso della vicenda giudiziaria. A evidenziarla è stata Lucchin: «In questo processo esiste un convitato di pietra: l’organizzatore della caccia al tesoro». Il riferimento esplicito è alla parrocchia che gestiva il centro estivo a cui era iscritto Stefano, e agli animatori. «L’organizzazione di questi eventi non è esente da normative e ci sono responsabilità civili e penali attribuibili anche ai responsabili del centro estivo». Le affermazioni dell’avvocata di Palmanova derivano anche dalla propria esperienza personale, essendo lei stessa stata, in passato, tra gli educatori di un altro centro estivo, lo stesso a cui aveva partecipato – per un amaro scherzo del destino – la madre di Stefano.
Le prossime udienze
Durata circa tre ore, l’udienza non è stata sufficiente per sentire tutte le arringhe difensive. Si continuerà quindi nel pomeriggio del 26 aprile, quando interverranno gli ultimi difensori e la pm potrà esporre le proprie repliche. Si dovrà attendere il 3 maggio, infine, per la sentenza.
Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram e Whatsapp, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.

Occhiello
Notizia 1 sezione

Occhiello
Notizia 2 sezione
