i racconti
Campanaro a 80 anni, la passione senza tempo di Mario Macuz a Gorizia

Un traguardo importante per lo storico campanaro di Straccis, festeggiato ieri con gli amici scampanotadôrs. Passione mai spenta per le campane.
Un goriziano doc. Un vero rappresentante vivente della cultura e dell’essere di una città mitteleuropea. Lui, Mario Macuz, classe 1944, «nato sotto le bombe», come lui stesso ricorda ridendo, ha festeggiato ieri sera, 23 gennaio, gli ottanta anni. Un traguardo importante per lo storico campanaro di Straccis, “Strazig” come la chiama lui in dialetto di Gorizia. È uno degli ultimi a parlarlo anche se non gli serve sicuramente un traduttore per varcare il confine. Mario parla italiano, sloveno, friulano e di tedesco «mastico qualcosa».
In tutta la sua vita ha fatto di tutto, «dal purcitâr fino a trasportare morti a un funerale», fino all’attività con il suo carroattrezzi. A festeggiarlo, oltre a parenti e amici, anche una delegazione dei Campanari del Goriziano, il sodalizio che da tre lustri raccoglie i suonatori di campane di tutta l’arcidiocesi e non solo. Mario è campanaro da una vita, così come uno dei fratelli, Gianni, presenti al momento conviviale, ma è anche un ottimo basso che presta la propria voce nei servizi corali parrocchiali, in cattedrale a Gorizia e nel coro diocesano.
Gli scampanotadôrs gli hanno regalato una targa, "con gratitudine, stima e riconoscenza per aver fatto cantare con tanta passione le nostre campane”, consegnata da suonatori di vari paesi e dal presidente, Andrea Nicolausig, in collegamento video. E lui, Mario, parlando dei ricordi che riaffiorano alla mente e al cuore, ricorda di come, giovane, con suo cugino andava a Piedimonte la mattina di Pasqua per il Resurrexit: «Iniziavamo a suonare alle 3.30 del mattino e si proseguiva fino alle 5. Dopo la messa e processione c’era il commendatore che offriva per tutti prosciutto cotto nel pane. Altri tempi, non come ora che se le campane battono le ore di notte c’è già chi protesta».
Di avventure, Mario ne può raccontare tante. «Quando lavoravo col carroattrezzi dovevo sapere lo sloveno perché in Yugoslavia la polizia non ti avrebbe risposto in altra lingua. Ho tirato fuori tanta gente che era rimasta ferma con la macchina in quegli anni». Si fa fotografare a stento, «una volta sono finito sulla stampa perché mi hanno scatto una foto mentre recuperavo una macchina con un collega: vicino a me c’era la polizia e poi c’era la didascalia “finalmente presi i tre passeur”. Ma io non son mica un passeur!», scherza.
Mario chiede lumi sui prossimi appuntamenti corali e campanari: sicuramente ci sarà e, se non sempre sulla torre, sicuramente a dare consigli a giovani e meno giovani con la sua voce sicura a raccomandare: «E viôt di sunâ ben!».
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