Le battaglie della comunità Lgbtqia+ a Ronchi, tre storie protagoniste al Festival

Le battaglie della comunità Lgbtqia+ a Ronchi, tre storie protagoniste al Festival

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Le battaglie della comunità Lgbtqia+ a Ronchi, tre storie protagoniste al Festival

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 15 Giu 2023
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Ieri sera il racconto di tre storie diverse ma accumunate dalla battaglia per i diritti, l'esperienza dell'ex capo di Stato di San Marino.

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Tre storie tanto diverse quanto complesse, con un solo minimo comune denominatore: la battaglia per il rispetto. Non solo verso una categoria ma trasversale, perché ognuno dei protagonisti di ieri sera sul palco di Ronchi dei Legionari era molto di più di una sola “etichetta”. Si è parlato di comunità Lgbtqia+ nell’ultimo panel di mercoledì sera al Festival del giornalismo, partendo da questa per estendere il ragionamento sulla difesa dei diritti di tutti: ospiti Ervin Bajrami, Daniela Lourdes Falanga e Paolo Rondelli.

Intervistati dalla giornalista Emanuele Bonchino, i tre hanno raccontato il loro percorso, partito da posizioni completamente differenti. A partire da Falanga, nata Raffaele e oggi segreteria nazionale dell’Arcigay. “Mio padre era un camorristi - ha raccontato - ucciso dalla polizia. Ero il primogenito e avrei dovuto ereditare quel potere”. A 18 anni, però, è arrivata la consapevolezza di non vivere nel corpo “giusto”, unendo l’iter per cambiare sesso con quello della lotta alle mafie, tanto che oggi parla di legalità a scuola e in carcere.

“In carcere e nelle scuole facciamo educazione affettiva, parliamo di sana socialità e non strane teorie gender come sostiene qualcuno”. Per l’esponente dell’Arcigay, “siamo sotto attacco da una certa politica e, oggi più che mai, serve resistenza. Questa politica non legge attentamente quanto accade. Siamo disarmati dalle opinioni di questo governo”. Le stoccate non mancano anche al mondo dell’informazione, vista la cornice: "Sui giornali si parlava di donne trans come della parte sporca della società, la narrazione è stata terribile”.

Proprio grazie a una foto sul giornale, Bajrami ha dovuto fare i conti con la famiglia ancora ignara del suo coming out. Rom nato in Kosovo, è arrivato in Veneto a otto anni fuggendo dalla guerra: padre musulmano, madre ortodossa, la sua scelta nel 2010 non è stata per nulla accettata in casa. “Me ne vado ma all’epoca non c'erano aiuti forti, né un giornalismo e una politica dalla nostra parte. Ti sentivi sbagliato” ricorda l’attivista, oggi responsabile Advocacy del movimento Khetane per rom e sinti Italia, etnie presenti nella Penisola da 600 anni.

“Invece di parlare di temi seri - ha accusato - si attaccano le minoranze. La mia comunità conta 180mila persone, solo il 3% vive nei campi. Quando sei attivista cerchi di contrastare le barriere, la minoranza non chiede più diritti della maggioranza ma di essere equiparati”. La sua battaglia è anche verso l’ottenimento della cittadinanza: “Un percorso complesso e dispendioso, sono in Italia da 21 anni. Questo è un Paese razzista e ha ancora tanto da fare”. Complessità della cittadinanza condivisa anche da San Marino, da dove arriva la storia di Rondelli.

Quest’ultimo è stato il primo capo di Stato a fare coming out, anche se come lui stesso ha raccontato “non l’ho mai fatto esplicitamente, ho sempre vissuto alla luce del sole”. Oggi membro del parlamento del Titanio, è stato Capitano reggente tra aprile e ottobre 2022 e in quel periodo ha firmato la legge che depenalizzava l’aborto come reato nella piccola repubblica. Un unicum in Europa, così come le vessazioni imposte alle donne ancora negli anni Ottanta per coloro che sposavano uno straniero perdendo di conseguenza la cittadinanza.

Proprio per promuovere il referendum abrogativo di questa norma, Rondelli ha iniziato a fare politica a 19 anni. Da allora ne sono passate di battaglie civili sotto i ponti, avvicinandosi alle associazioni pro-Lgbt a Bologna per poi girare il mondo, dapprima come dirigente e quindi diplomatico del suo Paese. Negli anni Novanta è stato attivo contro lo stereotipo dell’omosessuale come “untore” dell’Hiv: "Abbiamo fatto contrabbando in Italia di preservativi dalla Thailandia, via San Marino” ha ammesso, in contrapposizione all’allora governo italiano.

È stato ambasciatore del minuscolo Stato negli Usa sotto le amministrazioni Bush e Obama, poi capo delegazione a Parigi. Poi lo strappo con il suo governo e la decisione di candidarsi con il movimento Rete, entrano nell’assemblea. Nonostante i grandi passi in avanti rivendicati con il proprio impegno, però, “si sta sempre più sdoganando la violenza verso i ragazzi che si dichiarano omosessuali, sempre più famiglie non accettano i figli che fanno coming out e li buttano fuori casa. La genitoralità capita ma è una questione culturale”.

Photo Credits: Luca A. d'Agostino Phocus Agency

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