Barista aggredita in pubblico a Gorizia, rebus sul giudice dopo oltre un anno

Barista aggredita in pubblico a Gorizia, rebus sul giudice dopo oltre un anno

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Barista aggredita in pubblico a Gorizia, rebus sul giudice dopo oltre un anno

Di Daniele Tibaldi • Pubblicato il 24 Dic 2023
Copertina per Barista aggredita in pubblico a Gorizia, rebus sul giudice dopo oltre un anno

Per l'avvocato della vittima è tentato femminicidio, ma la Procura assegna il caso al Giudice di pace. Attesa a febbraio la decisione sul giudice competente

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In giorni in cui si fa un gran parlare, a livello mediatico, di violenza di genere, la storia emersa la scorsa settimana, in udienza davanti al Giudice di pace di Gorizia, ha dell’incredibile e fa molto riflettere. Per l’avvocato della vittima, Riccardo Prisciano, appare assurdo che, quello che definisce “un caso di tentato femminicidio", sia di competenza del Giudice di pace. Ma si dovrà attendere fino a febbraio per sapere se continuerà a occuparsene il magistrato onorario o se invece passerà al Tribunale in composizione collegiale.

La vicenda

Tutto è iniziato il 17 luglio del 2022, in uno dei locali più noti del centro storico del capoluogo isontino. Per una delle dipendenti del bar (I.A le iniziali) era una serata di lavoro come tante. Verso le 11 scorge tra i clienti anche il padre, mentre è tutto preso in una conversazione con un altro uomo, e di slancio lo abbraccia per salutarlo, chiamandolo “papà”. Fin qui sembra tutto normale, se non fosse che quell'uomo è l’ex direttore della Casa circondariale di via Barzellini, oggi in pensione, e che il suo interlocutore era stato “ospite” suo malgrado della struttura, per scontare la pena di un precedente reato.

“Le colpe dei padri non ricadano sui figli”, scriveva il profeta Ezechiele nel VII secolo avanti Cristo. Ma, a quanto pare, il suo insegnamento continua a restare inascoltato ancora oggi. L’ex detenuto, infatti, scoperto il legame di parentela che lega la giovane con l’ex funzionario di Polizia penitenziaria, si ripresenta nella stessa piazza verso le 2 di notte, la riconosce e le va incontro. “Quando io ero in galera mi ricordo che tuo padre non mi ha fatto ottenere un certificato medico. Sono stato dentro solo perché fumavo, sei solo la figlia di uno sbirro di m****!”, sono le frasi che le rivolge – riportate nel verbale di denuncia raccolto dai carabinieri – avvicinandosi sempre di più, tanto da farle fare un passo indietro per lo spavento.

Ancora non soddisfatto, l’uomo l’afferra per il collo con la mano destra, spingendola violentemente contro uno dei tavolini. Subito intervengono in sua difesa due avventori del locale, i quali avrebbero poi riferito che l’aggressore – dileguatosi prima dell’arrivo delle forze dell’ordine – durante la colluttazione aveva in mano anche un coltello a serramanico, puntato alla gola della giovane.

Il coltello fantasma

Ed è qui che nascono i primi problemi. La barista era troppo sotto shock per notare l’arma puntata alla gola e il referto medico non menziona alcun segno di taglio. Infatti, la prognosi contenuta nel certificato rilasciato dal Pronto soccorso di Gorizia è di sette giorni per una “contusione rachide lombare ed escoriazioni multiple al collo in referita (sic) violenza per mano altrui”.

Eppure, ci sono almeno due testimoni che, quel coltello, non solo lo hanno visto, tanto da indurli a immobilizzare l’aggressore a terra quanto è bastato per consentire alla vittima di salvarsi, ma lo hanno anche descritto alle autorità intervenute sul posto. Come spiega l’avvocato della vittima, “la presenza o meno di un’arma, trattandosi di una circostanza aggravante, già di per sé è determinante perché il caso sia di competenza del Tribunale in composizione collegiale e non del Giudice di pace”, con una serie di conseguenze non banali per la sua assistita e che saranno spiegate meglio di seguito.

Un anno dopo

Superata a malapena quest’esperienza traumatica, la barista aveva ripreso a lavorare normalmente, confidando nel fatto che la giustizia segua il suo corso, nonostante per circa un anno non avesse più ricevuto aggiornamenti. Finché il 15 luglio scorso nel locale non si ripresenta, in evidente stato di ebbrezza, lo stesso aggressore. Questa volta è accompagnato da un altro pregiudicato della zona e comincia a inveire contro di lei e il titolare – che si era messo a disposizione come testimone – con toni minacciosi, costringendo i presenti a chiedere nuovamente l’intervento delle autorità.

Ecco così il surreale paradosso. È in questo drammatico modo, infatti, che la giovane scopre, senza alcun avviso da parte dell’autorità giudiziaria, che nei mesi precedenti la Procura di Gorizia aveva ritenuto il caso di competenza del Giudice di pace, facendo venir meno, così, tutta una serie di tutele procedurali nei confronti della vittima. Tant’è che è lo stesso imputato a dichiarare alle forze dell’ordine di averla cercata poiché era venuto a conoscenza, con la notifica prevista dall’articolo 415 bis del Codice di procedura penale, del fatto che la giovane lo aveva denunciato.

Una tentata spedizione punitiva, quindi, le cui conseguenze hanno pesantemente aggravato le condizioni della vittima. Già dopo il primo episodio, infatti, la barista aveva cambiato radicalmente le proprie abitudini di vita. Avendo paura a rincasare da sola la notte, non solo aveva cominciato a spostarsi in automobile, invece che in bicicletta, ma era anche tornata a vivere con la madre, con incubi ricorrenti che la facevano svegliare di notte. Dopo il secondo episodio, il terrore ha raggiunto un livello tale da costringere la giovane a traslocare definitivamente lontano dalla città.

Una situazione che, secondo il suo avvocato, già da sola potrebbe rientrare nella definizione di “violenza di genere” riportata dall’articolo 1 della Dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne: “È ‘violenza contro le donne’ ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà”.

Va detto, però, che anche se la violenza, in questo caso, non sembra fondarsi sul genere della vittima, ma su altri motivi personali, per quanto futili siano – l’essere figlia dell’ex direttore del carcere –, diversi sono i segnali d’allarme che ci inducono a sperare in una maggiore attenzione verso la sicurezza della vittima.

Tentato femminicidio?

Per Prisciano, l’assenza di tutele adeguate a garantire la sicurezza della sua assistita è intollerabile. A maggior ragione se nei fatti appena descritti – questa è la posizione del legale – si può riscontrare un’ipotesi di “tentato omicidio aggravato da futili motivi e commesso da un soggetto recidivo”.

A sorprendere ancora di più il legale, però, è la posizione della Procura di Gorizia: “Alla prima udienza del 14 dicembre, in cui ho presentato l’atto di costituzione di parte civile della mia assistita, ho subito mosso l’eccezione di competenza, affinché si possano riformulare correttamente gli atti di imputazione davanti al Tribunale in composizione collegiale. Tuttavia, la Procura di Gorizia ha insistito affinché si procedesse innanzi al Giudice di Pace, anziché riformulare l'imputazione e procedere per tentato omicidio”.

Amarissimo il commento di Prisciano: “Che senso ha celebrare la ‘Giornata contro la volenza sulle donne’, batterci il petto contro l'ennesimo caso di femminicidio, le panchine e le scarpette rosse, il fiocco rosso? Che senso ha tutto ciò, se le istituzioni non sono in grado di rendersi conto quando si trovano innanzi a uno scampato femminicidio, ovvero quando la vittima, salvata per miracolo, ha denunciato, confidando in quelle istituzioni, che non hanno minimamente saputo tutelarla…”.

Spetta ora al magistrato onorario stabilire quale organo sia competente e bisognerà così attendere fino alla prossima udienza di febbraio. Nel frattempo, non possiamo fare altro che sperare che vittima e imputato non tornino a incrociarsi per strada o, peggio, sul posto di lavoro.

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