la sentenza
Bambino morto nel pozzo, condanne al Curatorio: 1 anno e 10 mesi a Ziberna

Il verdetto è stato pronunciato dalla giudice Cristina Arban intorno alle 16.50 di oggi, dopo essersi ritirata per oltre un'ora in camera di consiglio.
Condannato il Curatorio della Fondazione Palazzo Coronini Cronberg per la morte di Stefano Borghes, avvenuta nel luglio del 2020 cadendo in pozzo del parco della dimora storica di Gorizia.
È di 1 anno, 10 mesi di reclusione per omicidio colposo e 2 mesi di arresto per le contravvenzioni in materia antiinfortunistica, la condanna stabilita dal giudice monocratico del Tribunale di Gorizia a carico del sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna, presidente del Curatorio della Fondazione Palazzo Coronini Cronberg. Leggermente inferiore la pena per gli altri 5 membri del Curatorio: 1 anno, 4 mesi di reclusione per il primo capo d'imputazione e sempre 2 mesi di arresto per il secondo.
La sentenza ha anche disposto la restituzione dell'area del parco coinvolta nell'incidente sottoposta a sequestro probatorio. Ma il dissequestro, come il resto della condanna non saranno di immediata esecuzione: bisognerà attendere che la sentenza diventi irrevocabile.
A carico di tutti gli imputati anche il pagamento delle spese processuali. Concessa la sospensione condizionale della pena e la non menzione. I membri del Curatorio sono stati anche condannati al risarcimento del danno alle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio civile, concedendo una provvisionale immediatamente esecutiva a favore dei genitori di Stefano, Roberto Borghes e Daniela Franz, pari a 100mila euro ciascuno, e a favore di Chiara Borghes pari a 40mila euro.
Il verdetto è stato pronunciato dalla giudice Cristina Arban intorno alle 16.50 di oggi, dopo essersi ritirata per oltre un'ora in camera di consiglio. Nel pomeriggio, alle repliche della pm Ilaria Iozzi, che ha sostanzialmente confermato la propria requisitoria, avevano fatto seguito gli interventi degli avvocati Antonio Montanari, difensore del sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna, e Francesco Donolato, in difesa della direttrice Erpac Raffaella Sgubin, due dei sei componenti del Curatorio della Fondazione Palazzo Coronini Cronberg.
Con loro, quindi, condannati anche l’ex direttore della Biblioteca statale isontina Marco Menato, l’allora assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli, il commercialista Maurizio Boaro e il componente cooptato supplente Bruno Pascoli.
Attesa entro 90 giorni la pubblicazione delle motivazioni, ma per l'avvocato Salvatore Spitaleri, rappresentante la famiglia Borghes costituitasi parte civile nel processo, «non c'è gioia o letizia per questa decisione, ma soddisfazione per la consapevolezza dell'accertamento della responsabilità. È importante che per il tribunale ha confermato il fatto che non fosse stato fatto abbastanza per prevenire la morte di Stefano. Ciò a beneficio anche di tutti i cittadini e utenti abituali del parco».
Per il difensore di Ziberna, «la pena, in ottica del tribunale, è proporzionata ai gradi di colpa, in virtù delle circostanze attenuanti generiche da noi richieste». A preoccupare di più Montanari e gli altri difensori, era stata la richiesta della pm di condanna a oltre 4 anni per tutti gli imputati.
L'applicazione della pena è sospesa fino al momento in cui la sentenza sarà passata in giudicato. Per Ziberna, alla soddisfazione per il ridimensionamento della pena rispetto alla requisitoria della pm, si accompagna «l'amarezza per il fatto che non è stato chiarito cosa avremmo potuto fare, noi, per impedire che Stefano cadesse nel pozzo». Continua sempre il sindaco: «Mai, nel Curatorio, si era parlato del pozzo e nessuno di noi, se l'avesse visto, sarebbe stato in grado di capire che quel coperchio di metallo non era adeguato a sostenere il peso di una persona, ancor più se c'era uno studio tecnico professionale di Udine incaricato di garantire la sicurezza di tutti i luoghi di lavoro».
«Peraltro lo Statuto della Fondazione non consentiva lo svolgimento di alcun tipo di attività ludiche, quindi se fosse stata chiesta l'autorizzazione questa sarebbe stata negata, o concessa con alcune prescrizioni».
In attesa del deposito della sentenza, sembra già chiaro a Ziberna che il processo non si fermerà al primo grado: «Penso che tutti ricorreremo in appello perché non è giusto. Si tratta di una forma di responsabilità oggettiva, ancora residua nel nostro ordinamento, che per me rappresenta un'ingiustizia. È come se a una delle cento macchine del parco mezzi del Comune non funzionassero d'improvviso i freni. Sono tranquillo perché c'è una filiera di comandi e che soprattutto le macchine sono sottoposte a manutenzione: se mai dovesse succedere qualcosa dovrebbe risponderne chi ha effettuato la manutenzione».
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