A Nogaredo al Torre
Alla 'Città di Trieste': tornerà l’aringa…

Ferruccio Tassin ci porta a Nogaredo al Torre alla ricerca e riscoperta di un antico piatto dal puro sapore quaresimale, la Renga.
In friulano e bisiaco “renga”, in italiano “aringa”; un tempo temuta, è ridiventata di tale attualità da meritarsi una r in più, e comparire come “arringa” in almeno due luoghi della Bassa, deputati ad imprese masticatorie e di gusto.
Ma un luogo, dopo la chiusura dell’Osteria “Al Vecchio Confine” di Visco, rimaneva l’emblema di condivisione per sapori e sacrifici. Appena scoccata l’ora delle ceneri, sulla porta della trattoria “Alla Città di Trieste”, a Nogaredo al Torre, spuntava la scritta magica: “Aringa”.
Non c’era, ma avrebbe completato un punto esclamativo, e invito ad approfittarne: la cuccagna non durava a lungo; quaresima, poi basta fino all’ anno seguente. Passato il tempo da quando il pesce, estratto dai mari freddi, e subito trattato, era cibo di battaglia, penitenza, fatto per sparare sapore alla polenta, incaricata, dal Seicento fin a tempi recenti, d’ ingolfare stomaci lunghi, dall’appetito lupino e cronico, sconfinante nella fame.
A Nogaredo, il cuoco Alessandro, dopo l’aringa, proseguiva l’andamento della annata a base di prodotti caratteristici, trattati in maniera da sposare sapidità a eleganza, con base che spaziava dagli asparagi (turioni preziosi delle sabbiose terre di Nogaredo, da dopo Pasqua), ai più lontani funghi (da settembre), alle collinari e montane castagne (da novembre).
La “renga”, per i poveri di un tempo, aveva il pregio commerciale di conservarsi facilmente, e costare pochissimo.
Il valore culinario, per i più, era pressoché nullo, soltanto un sapore forte, possessivo, che illudeva il palato, timoroso di affrontare “le polente senze nuie”, la polenta nuda, per ingoiarla come cibo di sopravvivenza.
Accompagnava quaresime di famiglie e famiglie che, per altro, di quaresime ne avevano tante sulle spalle, e non prescritte, ben più dei 120 giorni canonici in totale votati al “magro”.
A Nogaredo, c’era il confine dal Cinquecento, e dal Settecento si era aggiunta la dogana teresiana, che vide passare persino un Papa - Pio VI - anche lui durante una quaresima (era il 14 marzo 1782) … non per l’aringa, ma per ammansire, a Vienna, uno scatenato Giuseppe II l’Imperatore sagrestano.
Era il confine fra Venezia e l’Austria, poi, dal 1866 fino al 1921, con l’Italia.
Sempre lei, l’aringa a raccontare che i due popoli condividevano la stessa miseria, come aveva fatto tra i popoli del nord e quello sud, dall’ultimo secolo del Medioevo, quando avevano cominciato a salarla e a lanciarla come cibo di sacrificio.
Da questo dopoguerra, è diventata merce rara: il timore per la sua perpetuità si è mutato in reverenza: un cibo preparato da mani assai più delicate, come quelle di tantissimi e, con particolare impegno, del cuoco Alessandro. La presentava in otto maniere, l’ultima e nuova, con miele, mele e cavolo cappuccio, accompagnato da polenta e sapido vino bianco della Rocca Bernarda.
Era sempre lei, trasformista come Fregoli, una e in otto associazioni, pronta a solleticare le papille gustative a folle di passeggeri, che non avevano neppure più il pensiero del confine!
Il virus passerà e sulla porta della trattoria “Alla Città di Trieste”, a Nogaredo al Torre, tornerà, concupita e osannata, la scritta magica: “Aringa”. Questa volta, per la rinnovata novità, le si potrebbero aggiungere almeno tre punti esclamativi!
In foto: La chiesa di Nogaredo al Torre dipinta, con stupefacente modernità, da Rodolfo Del Mestri nel 1896.
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