L'evento
Aquileia si risveglia con le luci di primavera tra arte e musica: 170 persone attendono l'alba in Basilica

Successo per l'iniziativa proposta dalla SoCoBa. Giornalisti, scrittori e docenti raccontano i 'propri' mosaici.
Non c’era luce diretta del sole, stamattina, all’alba del 22 marzo 2025, dalle finestre della Basilica patriarcale di Aquileia. C’era, però, quel tepore bluastro quasi azzurro cupo tipico delle giornate uggiose. Quell’alba, insomma, che tale non è se non per sua essenza: il sole è sorto, è dietro le nubi, come poeticamente cantava Sergio Endrigo, ma la luce giunge filtrata e quasi irreale. Quel blu, però, è stato ugualmente la cornice luminosa adatta per Aequinoctium, l’evento mattutino che la Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia ha voluto riproporre per l’avvio della primavera e che ha radunato ben 170 persone, numero più, numero meno, alle 6 del mattino, tra i millenari mosaici.
Suonava la campana maggiore dal campanile poponiano che le prime note dell’arpa suonata da Ester Pavlic, alternata a tutti gli interventi, si muovevano tra le colonne e le tessere dei mosaici. «Una mattina di speranza, nell’equinozio di primavera, e di pace», ha ribadito il direttore della SoCoBa, Andrea Bellavite: «Che la luce ci ricordi anche l’importanza del messaggio della Capitale Europea della Cultura, in una terra insanguinata come la nostra da guerre e da tragedie».
Il primo a prendere la parola è stato lo scrittore e docente Angelo Floramo che ha puntato l’attenzione sulla luce che, lentamente, entrava dalla finestra nell’abside: «Le prime figure a essere illuminate sono quelle femminili, in friulano sono le ‘feminis’, termine che ha la radice ‘fe’ al suo interno. Mi ricorda – così Floramo – la felicitas, la feracitas, la fecunditas. Da questa Basilica, con la volta a chiglia di nave, la nave della vita, ascoltiamo il grido di tante donne e madri che ci chiedono di restare umani».
È stata la giornalista Elena Commessatti a citare Pier Paolo Pasolini che «scriveva negli Anni ’50 come, in questa basilica, ci si senta “all’inizio del mondo, prima della verità, prima della coscienza”. Rileggendo i mosaici da agnostica moderna sono diventata credente moderna. Qui c’è la Ciesa delle origini, senza orpelli né gerarchia, una Chiesa fuori dalla politica e dal potere. Quello che qui si respira è l’alba dello spirito di tolleranza, in cui pastore e gregge sono sullo stesso piano. Qui si sta in silenzio per ascoltare noi stessi».
Sul legame tra flora e fauna, tra animali e piante, tra natura e cultura ha parlato lo scrittore Mirt Komel citando la Teoria dei nodi di Lacan: «Nella rappresentazione tra natura e cultura c’è sempre un elemento che non combacia, che rimane fuori, e quindi questa non avviene in modo totale. Quell’elemento è il reale». Komel ha richiamato anche i nodi, da quello di Salomone che fisicamente si trova nei mosaici di Aquileia, fino a quelli «storici tra le religioni fino al cristianesimo», ribadendo anche «il nodo che ci lega in una connessione gli uni agli altri».
Ha chiuso il ciclo di interventi Martina Delpiccolo, critica letteraria: «Aquileia è nostra madre perché qui possiamo parlare ognuno la propria lingua, la lingua che ci arriva dal cuore. Aquileia, però, ci abbraccia anche come uomini e donne contemporanee, col nostro credere e il nostro non credere, con i dubbi e la difficoltà della vita». Delpiccolo ha riportato alla mente il momento in cui, da bambina, si era ritrovata di fronte ai mosaici aquileiesi: «Vedevo il pastore – ha raccontato – e pensavo fosse il modo particolare che gli aquileiesi avevano per fare il presepe. Crescendo e studiando ho iniziato a capirli realmente ma penso che il Bambin Gesù che io cercavo da bambina sia qui, dovunque, in ogni animale, in ogni tessera, in ognuno di noi».
«Questo pavimento, un tempo calpestato, ci ricorda come sia fondamentale guardare dove mettiamo i piedi. Ora siamo qui ad aspettare la luce che illuminerà i mosaici ma illuminerà anche noi: senza la luce non ci si può vedere. Tra la luce e il buio, come tra il gallo e la tartaruga in questi mosaici, c’è una tessera sola. Quando si parla di tessere del mosaico è quella, quella fondamentale. Quando vediamo il bene e il male, nelle parole di violenza di ogni giorno, pensiamo a quella tessera che, alla fine, siamo noi».
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