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Gli antichi nomi del Carso goriziano, la guida per riscoprire strade e sentieri

Il giornalista Vladimir Klemše ha ricostruito i nomi di molti luoghi del territorio, il libro sarà stampato bilingue insieme alla nuova cartellonistica.
La parola “Carso” indica una regione storica, un altopiano che si estende a cavallo di Italia, Croazia e Slovenia, teatro di violente battaglie. Prima che le guerre disegnassero i loro arbitrari confini, per i nostri antenati la radice “kar” stava già ad indicare il significato del termine. Vale a dire “roccia”, “pietra”, matrice derivante da quell’indoeuropeo comune al quale risalgono gran parte delle lingue del mondo. Nell’ambito della valorizzazione della ricchezza linguistica del Carso goriziano, è stato affidato al giornalista Vladimir Klemše il compito di elaborare una ricerca storica sui toponimi presenti sul territorio compreso nei comuni di Doberdò, Savogna, Sagrado e in parte Gorizia.
“Si tratta di un progetto che ricade nella legge 38 sulla minoranza slovena" spiega l’assessore d'Istruzione di Savogna, Alenka Florenin, alludendo alla legge del 23 febbraio del 2001. Una ricerca che costituisce un importante lavoro di recupero di quel patrimonio inestimabile che rappresenta la memoria. Nomi di luoghi che con il passare degli anni cadono in disuso, sedimentandosi nella coscienza per poi essere dimenticati. È il caso, ad esempio, della "Álexova jáma" situata a San Michele, che deriva il proprio nome dallo scopritore Alex Visintin. La quale, pur essendo esistente, si ritrova su un terreno privato e non è accessibile al pubblico.
Oppure le “Báke”, due doline di San Michele che prendono il nome dal dialettale “báka”, pianta usata per legare le viti o costruire ceste in vimini, probabilmente derivante dal friulano “venciâr”, voci tramandate per fonte orale. “Si è pensato a questa ricerca come a una modalità di recupero della memoria storica, toponimi che via via scompaiono dall’uso quotidiano”, sottolinea Florenin. “Sarà un libro simile a un dizionario, dove un terzo dei termini è incentrato sul territorio del Carso”, commenta Klemše. Un elenco alfabetico di toponimi, cui ha contribuito molto il parlato.
“Abbiamo cercato di spiegare il significato” prosegue l’autore, illustrando il grande lavoro da portare a conclusione. Calcando le forme dialettali e letterali, si è individuata la localizzazione, raccogliendo complessivamente circa trecento voci. “Sono nomi che rispecchiano una realtà che non compare sulle carte geografiche, tramandati tramite fonte orale”, specifica l’autore. Toponimi di due o tre secoli addietro, che fanno riferimento a “entità piccole e non solo catastali, ma con una grande valenza a livello locale”. Come il “Barónove njíve”, all’interno del complesso del Castello di Rubbia, in passato destinata agli arativi e oggi vigneto. Uno studio semantico strettamente intersecato alla linguistica, in quanto la toponomastica concerne l’approfondimento dei nomi di luogo, a partire dalla loro origine fino alla distribuzione geografica.
“Si tratta di termini legati alla vita quotidiana, all’agricoltura, a campi definiti con termini legati alla tipologia di terreno, alla coltivazione specifica, a quell’albero”, esemplifica l’assessore all’ambiente. “Caratteristiche presenti in natura, che abbiamo ritenuto di salvare tramandandole alle generazioni future”, rimarca. Termini che affondano la propria semantica nella viva partecipazione della comunità slovena, profondamente intersecata alla realtà del territorio. In un’area dove il confine è oggi scarsamente definito e presenta ormai connotati sempre più sfumati.
“Questo studio conferisce anche un senso alla presenza storica della comunità slovena. Sono fiera di questo risultato. Io stessa usavo alcuni di questi toponimi, a poco a poco sostituiti da nuovi vocaboli”, rivela Florenin. Una storia che prenda in esame i territori più importanti correlandoli alla terminologia in uso, mantenendo in vita i termini utilizzati dai propri antenati. “Toponimi che possono essere declinati in chiave moderna, per esempio attraverso l’orienteering. Contiamo di avere uno strumento che possa offrire spunti per progetti futuri, in grado di coinvolgere le generazioni che verranno, magari da estendere anche i bambini più piccoli”, auspica.
Un testo che non ha ancora visto la luce, ma che verrà stampato nelle due lingue - sloveno e italiano – unitamente ai cartelloni sui sentieri. “Anni fa abbiamo iniziato un lavoro sul territorio, collocando tabelle con i toponimi. Ma credo che riempire i comuni di cartelloni non abbia senso, è giusto scegliere quelli maggiormente rappresentativi, soprattutto là dove sono presenti insediamenti abitativi. Alcuni di questi toponimi si utilizzano quotidianamente, altri sono magari legati a campi dimenticati persino dai proprietari o dagli eredi. Là dove verranno individuati percorsi naturalistici, ritengo sia giusto collocare apposite tabelle”.
Un testo prezioso, che unitamente alle tabelle, rappresenterà un valido strumento d’ interpretazione del territorio. “Un lavoro scientifico, non solo etimologico, fatto con metodo”, ribadisce con orgoglio. Rigore e ricerca orale legate assieme dallo stesso intento: tramandare ai nostri figli un patrimonio denso di storia e di cultura, dove anche la minoranza possa trovare piena giustificazione.
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